Da Bruxelles Gentiloni e Dombrovskis mettono in guardia: «limitare aumento spesa corrente». Ma cos’è la spesa corrente e perché fa tanta paura, soprattutto se «abbinata a un alto debito pubblico»?
Il Commissario agli affari economici e monetari, Paolo Gentiloni, e il Vicepresidente della Commissione, nonché Commissario per il commercio ad interim, Valdis Dombrovskis, il 24 novembre hanno tenuto una conferenza stampa per rispondere alle domande sul quadro economico generale dell’UE, ma soprattutto sulla valutazione delle manovre di bilancio dei Paesi membri, in fede al ruolo di sorveglianza e indirizzo attribuito alla Commissione dal Patto di Stabilità e Crescita (1997) e dal cosiddetto Six Pack (2011).
L’Italia rientra ancora tra i Paesi a rischio, in quanto colpevole di presentare squilibri macroeconomici eccessivi. Durante il 2020, con la pandemia in pieno corso, le ramanzine erano state sospese. Ora che la situazione si è allentata (o almeno così hanno sostenuto gli stessi Commissari), ritornano a essere meno piacevoli debiti e spese alte. L’accusa rivolta all’Italia è infatti quella di stare spendendo troppo, rischiando di aggravare un debito già alto. La principale imputata è la spesa corrente. Ma che cos’è la spesa corrente? È davvero così pericolosa?
Le pagelle dell’UE
Sono uscite le pagelle dell’UE e l’Italia è stata rimandata: ha un debito (alto). L’esame non lo sosterrà a gennaio, come i ragazzi a scuola, ma sarà spalmato sui prossimi anni e sarà superato se verranno considerati soddisfacenti - per la Commissione europea - i risultati ottenuti in termini di crescita del PIL e riduzione del debito.
Già da giugno 2021, con le ormai classiche «raccomandazioni», da Bruxelles avevano ammonito: «utilizzare il dispositivo per la ripresa e la resilienza per finanziare nuovi investimenti a sostegno della ripresa nel 2022, perseguendo nel contempo una politica di bilancio prudente; preservare gli investimenti finanziati a livello nazionale; limitare l’aumento della spesa corrente finanziata a livello nazionale».
Uscendo dalla fuorviante logica «scolastica», è noto che non ci sia nulla di nuovo sotto il sole: crescere e ridurre il debito. E per la Commissione spendere di più è un rischio, perché se la crescita della spesa non è accompagnata da una crescita delle entrate (tasse) - che si può anche tradurre come «se si è in deficit» - il debito aumenterà. Ma il punto, come è noto (anche a Bruxelles), non è tanto lo stock di debito, il numeretto, quanto la percentuale in rapporto al PIL (debito/PIL).
In altre parole, se la spesa fa crescere il denominatore (il PIL) è gradita. Lo stesso premier Draghi nell’estate del 2020 ci tenne a distinguere il «debito buono» dal «debito cattivo». E per la Commissione è chiaro quale sia il debito buono: «dare priorità agli investimenti sostenibili e propizi per la crescita, sostenendo in particolare la transizione verde e digitale».
In questa direzione, infatti, è possibile che vadano le modifiche al Patto di Stabilità auspicate da Gentiloni: una golden green rule, che in un certo senso premi gli investimenti verdi, eliminandoli dal conteggio del deficit. Ma per ora, delle nuove regole «realistiche» (così le ha definite il Commissario), non c’è traccia. Ciò che invece sembra certo è che la spesa corrente tout court, a Bruxelles, sia considerata debito cattivo.
La spesa pubblica e le sue componenti
Per capire cos’è la spesa corrente, occorre allargare lo sguardo e parlare di spesa pubblica in generale. La spesa pubblica è l’insieme delle spese effettuate dallo Stato nel suo complesso (amministrazione centrale, enti locali, INPS, etc.).
Al riparo da una logica facilmente fraintendibile di «buono e cattivo», viene comunemente divisa tra:
- spesa corrente: l’insieme di tutto ciò che è necessario per far funzionare il settore pubblico, che comprende i redditi da lavoro dipendente (gli stipendi dei dipendenti pubblici), attrezzature e mezzi di produzione, consumi intermedi (beni e servizi), nonché i trasferimenti, ossia delle erogazioni prive di una contropartita del beneficiario (pensioni, sussidi, bonus vari e in una certa misura anche gli interessi sul debito);
- spesa in conto capitale: l’insieme degli investimenti, delle spese che vengono in un certo senso «messe da parte», in attesa del loro rendimento futuro.
Inoltre, si può in un certo senso dire che la spesa pubblica ha due facce, in quanto è:
- spesa autonoma: definizione che indica la capacità della spesa pubblica in termini beni, servizi, spesa corrente e d’investimento, di aumentare direttamente il PIL;
- spesa indotta: definizione che indica la capacità della spesa pubblica di generare, indirettamente, un aumento del PIL, tramite il cosiddetto effetto moltiplicatore (l’anziano che con la pensione va al ristorante, con il suo consumo costituisce il reddito del titolare, che a sua volta determina il reddito del cameriere, e così via);
Perché la spesa corrente fa paura?
Riassumendo la questione: si assume a priori che la spesa in conto capitale sia sinonimo di investimento produttivo, soprattutto se green e digital; mentre la spesa corrente viene assimilata a consumo improduttivo.
In effetti, se pensiamo ad esempio a una pensione, che è una rendita concessa a chi ha alle spalle una carriera lavorativa, non dà l’idea di un impiego produttivo, a meno che non si abbia in mente il concetto suesposto di spesa indotta.
Ma a parte le impressioni, la crescita del PIL (ossia l’obiettivo, almeno a parole, caro a tutti) si ottiene solo tramite gli investimenti nel senso comune del termine (costruire strade e ospedali, finanziare startup e idee innovative, ecc.)? La risposta ovviamente è no.
Il PIL è un concetto statistico, e uno dei modi per calcolarlo è sommare i redditi del Paese che si prende come riferimento. Ciò significa che, quando viene pagato un nuovo stipendio (spesa corrente), o aumentato uno esistente (sempre spesa corrente), il PIL aumenta.
Con questo non si vuole dire che i problemi dell’Italia si risolverebbero semplicemente aumentando gli stipendi. C’è bisogno che venga prodotto qualcosa, che a fronte di quella spesa ci sia un lavoro utile. Tuttavia, quello del PIL è un chiarimento preliminare necessario, pena il non capire nulla.
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Spesa corrente e investimento in «capitale umano»
Ciò che resta quasi sempre nell’ombra quando si parla di spesa corrente, crescita e della loro relazione, è il fatto che alcune voci della spesa corrente, come sanità e istruzione, hanno delle ricadute positive sul lungo periodo tanto quanto la costruzione di un viadotto, se non di più talvolta (come ad esempio se ci si trova preparati a livello sanitario quando scoppia una pandemia, per dire).
Un termine che riscuote parecchio successo è capitale umano. Ebbene, curare la formazione (spendere in istruzione, pagando professori e personale scolastico) e la salute (spendere in sanità, pagando medici, infermieri e personale sanitario) del capitale umano è fondamentale.
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Non tanto (anche) per un fatto etico, quanto per un fatto economico: viene stimolata la crescita, sia di breve periodo (complice il moltiplicatore dei nuovi redditi o dei redditi aumentati), sia di lungo periodo (scuola e sanità integre tendenzialmente producono menti e corpi integri, a differenza di controparti che cadono a pezzi).
La giusta conclusione sembra essere un appello (in cui c’è un’interrogativa con «se più condizionale» che mette a dura prova le conoscenze e abitudini sintattiche dei più) di Federico Caffè, storico economista italiano, maestro (tradito o meno) del premier Draghi:
«Il consenso sociale va ricercato con ben altri argomenti. In quale modo vi si contribuisce seriamente d’altro canto, insistendo ancora sulla canonica distinzione tra spese correnti e spese di investimento, malgrado la fragilità concettuale del voler troppo insistervi? Se dovremo accrescere il personale paramedico, potremo fare a meno di pagare gli stipendi? O dovremo introdurre le categorie sospette di capitale umano, tanto per utilizzare la categoria degli investimenti?»
F.Caffè, I presupposti del consenso sociale, lunedì 4 settembre 1978
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