L’utilizzo della geolocalizzazione per monitorare gli spostamenti delle persone durante l’emergenza coronavirus è già realtà: ecco dove.
La geolocalizzazione è necessaria per rallentare l’espansione del coronavirus? È una delle misure drastiche che si sta discutendo in tutto il mondo ma in alcuni Paesi è già realtà. È il caso della Cina e di Taiwan, prossimamente anche di Israele. Dobbiamo aspettarci provvedimenti simili anche in Europa?
Geolocalizzazione per fermare il virus
Ieri, attraverso l’annuncio del primo ministro Benjamin Netanyahu, Israele si è aggiunto a quei Paesi che utilizzeranno la geolocalizzazione per rallentare l’avanzata del coronavirus. Una misura che di norma viene attuata solamente per combattere il terrorismo e che invece è stata applicata dopo che il Paese ha registrato 50 contagi in un solo giorno.
Il premier Nethanyahu ha definito il virus come un “nemico invisibile” e ha aggiunto che “verrà utilizzato qualsiasi mezzo per combatterne la diffusione”. Tra questi anche quelli tecnologici e strumenti che fino ad oggi “non sono stati utilizzati nei confronti dei civili”. Mentre le ricerche su un possibile vaccino proseguono, la geolocalizzazione sarà utilizzata probabilmente per verificare gli spostamenti passati dei pazienti positivi al COVID-19 o per capire se abbiano violato la quarantena. La Shin Bet, agenzia per la sicurezza nazionale, coordinerà l’iniziativa.
L’utilizzo di strumenti del genere potrebbe costituire però una violazione alle norme sulla protezione dei dati personali. Il garante della privacy si è infatti opposto all’iniziativa giudicandola troppo estrema, come riporta The Jerusalm Post. Il sistema giudiziario israeliano invece ha prontamente sostenuto l’ipotesi.
Il problema della privacy
È ragionevole pensare che un’emergenza del genere possa portare a misure straordinarie per contenere la diffusione del virus. Tra i Paesi che hanno attuato strategie simili con successo ci sono sicuramente la Cina e Taiwan. Tuttavia, per quanto riguarda quest’ultimo il tracciamento elettronico dei pazienti sarebbe stato effettuato tramite dispositivi specifici e non attraverso lo smartphone. Si tratta sicuramente di uno strumento utile per valutare al meglio i rischi e avere un controllo più stringente sull’espandersi dell’epidemia. La raccolta di dati comunque non dovrebbe avvenire all’insaputa dell’utente e le informazioni personali dovrebbero essere poi cestinate una volta terminato il periodo critico.
In Europa la materia sembra sia stata coperta ampiamente dall’articolo 9 del Regolamento generale sulla protezione dei dati o GDPR, che autorizza la sospensione della normativa in situazioni d’emergenza. All’interno dello stesso viene spiegato dove i dati debbano essere archiviati, per quanto tempo, chi vi possa accedere e dopo quanto tempo le informazioni personali debbano essere cancellate. Sarà compito poi dei governi e dei garanti della privacy ripristinare la normalità e applicare nuovamente le norme sulla protezione dei dati.
© RIPRODUZIONE RISERVATA