Un pensionato cremonese è indagato per la sua campagna social no vax. I post dell’uomo sono considerati istigazione alla disobbedienza delle leggi.
I suoi post su Facebook lo hanno messo nei guai: diffondere fake news è già di per sé un reato, inneggiare a trasgredire le norme anti-Covid costituisce una vera e propria aggravante.
Questa è la storia di Daniele Disingrini, un pensionato di 66 anni originario di Cremona che si dichiara pubblicamente no vax e difende le sue posizioni incitando i propri compaesani a seguire il suo esempio tramite la pagina social che gestisce da tempo.
La sua attività però gli è costata cara. Come rendono noto Il Corriere della Sera e il Secolo d’Italia, la Questura della zona gli ha recentemente notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari. Per chiarezza è bene specificarlo; questo è l’atto che anticipa la richiesta di rinvio a giudizio.
Cosa lo attende ora? Può essere processato per le frasi che ha condiviso? Le norme giuridiche in casi come questo vanno interrogate e soprattutto interpretate.
Daniele Disingrini a processo: le dichiarazioni che lo “incastrano”
Daniele Disingrini è un ex impiegato della posta cittadina e con la sua Cremona ha un rapporto speciale. Il senso civico e il desiderio di condivisione tre anni fa lo hanno spinto a dedicare un gruppo Facebook, che oggi si chiama Cremona Ancor, alle varie attività che si svolgono sul territorio cremonese e a oggi sono 1.800 gli iscritti al suo piccolo canale d’informazione personale. Un bacino d’utenza considerevole per una realtà di paese.
Il pensionato dall’inizio della pandemia però non parla soltanto degli eventi che avranno luogo e della iniziative che intende promuovere: la pandemia è diventata un tema ben più caldo per lui.
La collezione di post contro i DPCM e contro i vaccini che riportano la sua firma è vasta, ma non manca di certo la condivisione di articoli e interventi di altre figure di spicco contro l’uso delle mascherine che si spinge a definire la “causa di lento e inesorabile suicidio”. Altri esempi concreti delle sue dichiarazioni sono oggi riportati da alcuni giornali, ma tra tutti spicca l’affermazione che è quasi il suo mantra: “i vaccini sono brodaglia”.
La dura campagna antivaccinale che porta avanti a colpi di tastiera, però, non lo ha mai visto scendere in piazza: i raduni e gli scioperi dei radicali non fanno per lui.
La visibilità che le sue posizioni estremiste hanno, tuttavia lo conducono oggi al centro di una vicenda giudiziaria che può dirsi ben avviata.
Daniele Disingrini a processo: di cosa è accusato?
Ad aggiornare Disingrini sull’evoluzione delle indagini della Procura di Cremona è il PM Lisa Saccaro che gli contesta il reato d’istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico.
Le norme a cui si fa riferimento ovviamente sono quelle rivolte alla tutela della salute pubblica nel periodo di emergenza pandemica. L’uso della mascherina primo fra tutte.
Nella stessa notifica che gli è stata recapitata si legge anche la preoccupazione dell’autorità riguardo le affermazioni fatte dal cremonese sui numeri dei decessi da Covid-19.
L’uomo avrebbe più volte definito questi dati inattendibili o falsi poiché diffusi da un governo del tutto inaffidabile. A riguardo non mancano neppure riferimenti a un suo eventuale desiderio di “rivoluzione”.
Cosa rischia chi diffonde fake news?
Daniele Disingrini oggi si appella alla libertà di parola e chiama in causa addirittura Giordano Bruno. Nella sua ottica, come si evince dalle ultime dichiarazioni che ha rilasciato, gli verrebbe data ingiustamente la caccia per le sue posizioni come fossero una vera e propria eresia o peggio, un delitto.
Ma è davvero possibile diffondere pubblicamente informazioni false e passarla liscia? Qual è la linea di confine tra libertà di espressione e diffusione di fake news?
La decisione spetterà al giudice ma intanto possiamo farci un’idea sulla fondatezza di queste accuse e sulle sanzioni che potrebbero scattare in caso di condanna.
Il codice penale infatti dice che per chiunque pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico, può essere disposto l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a 309 euro.
Le condizioni per far scattare il reato sono quindi due:
- la totale difformità dalla realtà, ovvero l’alterazione della verità dei fatti;
- la capacità di destare allarme, preoccupazione o agitazione in coloro che leggono le informazioni riportate.
La semplice bufala non è quindi sufficiente poiché con questo termine indichiamo delle falsità che è facile smentire perché del tutto inverosimili.
Il grande scetticismo che dilaga sulle questioni relative al Covid-19 è invece una realtà concreta che va contrastata, non alimentata.
L’ignoranza della popolazione circa molte questioni tecniche che la vaccinazione e la malattia mettono in ballo gioca infatti il ruolo di aggravante in questo caso.
Abusare della credulità popolare può far lievitare la sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 5mila euro a un massimo di 15mila euro.
A questo punto bisognerà solo attendere l’analisi del caso e seguire l’evoluzione della vicenda. La possibilità che si continui a procedere per via legale è piuttosto concreta.
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