Covid, variante brasiliana: cos’è, sintomi, differenze con variante inglese

Maria Stella Rombolà

26/01/2021

La variante brasiliana del coronavirus spaventa il mondo. Ma cos’è esattamente e quali sintomi porta con sé? Le differenze tra le diverse mutazioni del virus sono sottili ma potrebbero essere determinanti.

Covid, variante brasiliana: cos’è, sintomi, differenze con variante inglese

Solo nell’ultimo mese sono state identificate molte varianti del coronavirus originario, il virus che ha sconvolto il mondo intero da un anno a questa parte; ma c’è chi afferma come il virologo Fabrizio Pregliasco, che le varianti Covid ad oggi sarebbero almeno 12.

Dopo la variante inglese che ha causato una forte impennata di vittime nel Regno Unito, c’è una nuova mutazione del virus Sars-Cov-2 che preoccupa il mondo: la variante brasiliana, sbarcata anche in Italia nella giornata di ieri, quando è risultato positivo a tale mutazione un paziente nell’ospedale di Varese.

Ma cosa cambia in effetti tra la variante brasiliana rispetto a quella inglese? Della variante sudamericana a fare paura è la sua sospetta capacità di sfuggire al sistema immunitario.

Cos’è la variante brasiliana? I sintomi

La variante brasiliana è stata identificata per la prima volta in Sud America su un’infermiera 45enne che si era già ammalata cinque mesi prima, contraendo il virus nella sua forma originaria per poi risultare nuovamente positiva al Covid. Nella seconda infezione, i sintomi della donna sono peggiorati e così i ricercatori si sono messi subito a lavoro per studiare questo particolare caso.

Dal confronto dei campioni hanno scoperto che l’ultimo tra questi presentava la mutazione genetica chiamata E484K, che cambia la forma della proteina spike all’esterno del virus in un modo che potrebbe renderla meno riconoscibile al sistema immunitario, aumentando la difficoltà legata al ruolo degli anticorpi. Prima di arrivare in Italia un primo caso della variante brasiliana è stato rintracciato anche nel Regno Unito, già alle prese con la variante inglese.

Per quanto riguarda i sintomi, seppur apparentemente più aggressivi sono identici a quelli che già conosciamo, ovvero:

  • febbre,
  • tosse secca e mal di gola,
  • stanchezza diffusa e dolori muscolari,
  • diarrea,
  • congiuntivite,
  • perdita del senso del gusto e dell’olfatto,
  • più raramente difficoltà respiratoria o fiato corto, oppressione o dolore al petto, perdita della facoltà di parola o di movimento
    (Fonte: OMS)

La differenza è che questa variante sembrerebbe essere più aggressiva. L’iter da seguire resta quello consigliato in caso di sospetta positività al Covid-19.

Differenze tra variante brasiliana e inglese

Innanzitutto va chiarito che una variante è un nuovo codice genetico di un virus che ha acquistato una o più mutazioni che, a loro volta, sono le variazioni che cambiano le caratteristiche.

Antonio Mastino, microbiologo associato all’Istituto di farmacologia traslazionale del Consiglio nazionale delle ricerche, ha chiarito che:

«Le varianti e le mutazioni di SARS-CoV-2 attualmente in circolazione, da un lato rappresentano una fonte di preoccupazione per via della più elevata capacità di trasmettersi tra gli individui, ma dall’altro dobbiamo ricordarci che la mutazione è un processo naturale degli agenti patogeni e che, sulla base delle conoscenze attuali, nessuna di queste varianti sembra amplificare la patogenicità del virus.»

L’unico fattore di rischio che allarma gli scienziati è rappresentato dal fatto che se il virus raggiunge più persone aumentano le probabilità che vengano colpiti gli individui più vulnerabili, ma la variante in sé non rappresenta un motivo di preoccupazione più elevato a livello di patogenicità, come ribadito dal microbiologo:

«Non abbiamo dati che supportino l’idea che le varianti inglese, brasiliana o sudafricana siano più dannose per chi le contrae. È importante, però proseguire gli studi e prendere tutte le precauzioni possibili, anche perché la maggiore efficienza di penetrare nell’organismo può far sì che l’infezione si trasmetta anche in soggetti precedentemente meno vulnerabili, come i bambini e i più giovani, cosa che stiamo osservando nell’ambito di questi nuovi ceppi».

Infine secondo l’esperto è importante sottolineare che, sulla base dei dati disponibili, le varianti identificate finora dovrebbero essere comunque sensibili ai vaccini già sviluppati.

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