La vitamina D è davvero in grado di trattare la Covid-19 e ridurre la mortalità dei pazienti? Ecco cosa dicono gli esperti.
La vitamina D è davvero in grado di diminuire i decessi e la degenza in terapia intensiva? Un nuovo studio, condotto dai ricercatori dall’Università di Padova insieme delle Università di Parma, di Verona e gli Istituti di Ricerca CNR di Reggio Calabria e Pisa, ha evidenziato delle relazioni tra questa sostanza e l’infezione causata dal coronavirus.
Sebbene il ministero della Salute continui a non esprimersi in merito all’utilizzo della vitamina D per il trattamento dei pazienti Covid, si moltiplicano gli studi che dimostrano come la questa sostanza sia in grado di influire sull’insorgenza ed il decorso della malattia.
Covid, la vitamina D riduce il numero dei decessi
Al momento esistono più di 300 studi che illustrano un possibile legame tra la Covid-19 e la vitamina D, i quali evidenziano una carenza di questa sostanza (ipovitaminosi D) nei pazienti che hanno manifestato forme gravi dell’infezione causata dal Sars-CoV-2 e in quelli deceduti.
Precedenti ricerche avevano già mostrato come l’ipovitaminosi D fosse associata a una maggiore esposizione alla malattia ed alle sue manifestazioni cliniche più aggressive. Adesso un nuovo studio mostra come la somministrazione di vitamina D in soggetti positivi al coronavirus, affetti da comorbidità abbia potenziali effetti positivi sul decorso della malattia. Il professor Sandro Giannini, dell’Università di Padova, spiega che:
“I pazienti della nostra indagine, di età media 74 anni erano stati trattati con le associazioni terapeutiche allora usate in questo contesto e, in 36 soggetti su 91 (39.6%), con una dose alta di vitamina D per 2 giorni consecutivi. I rimanenti 55 soggetti (60.4%) non erano stati trattati con vitamina D”.
I risultati della sperimentazione, prosegue il professore, sono chiari: “In coloro che avevano assunto il colecalciferolo (vitamina D), il rischio di andare incontro a decesso o il trasferimento in ICU” si era ridotto dell’80% rispetto a coloro che invece non lo avevano assunto.
La vitamina D previene le forme gravi di infezione
Il professor Giancarlo Isaia, docente di Geriatria e presidente dell’Accademia di Medicina di Torino, e il professor Enzo Medico, ordinario di Istologia all’Università di Torino, in un precedente studio dal titolo “Possibile ruolo preventivo e terapeutico della vitamina D nella gestione della pandemia da COVID-19”, avevano già messo in evidenza un possibile legame tra l’ipovitaminosi D riscontrata nella popolazione italiana e le complicanze dell’infezione da coronavirus.
Riequilibrare i livelli di vitamina D sarebbe “necessario anzitutto per prevenire le numerose patologie croniche che possono ridurre l’aspettativa di vita nelle persone anziane” e verosimilmente, con “minore evidenza scientifica”, per provocare una “maggiore resistenza all’infezione COVID-19 ”, avevano precisato i due scienziati.
I loro risultati trovano conferma anche in numerosi altri studi tra cui quello condotto da Anshul Jain, del dipartimento di Anestesiologia del M.L.B Medical College, in India, che ha coinvolto 154 pazienti, nel quale è stato evidenziato che il 31,86% delle persone asintomatiche e il 96,82% dei ricoverati in terapia intensiva mostravano livelli bassi di vitamina D.
Sebbene non esistano ancora degli studi clinici controllati diversi scienziati dunque sostengono che questa sostanza possa ridurre la possibilità di sviluppare forme gravi di infezione e addirittura prevenirla, tanto che il Regno Unito, che ha già dato il via alle vaccinazioni, ha deciso di distribuire gratuitamente la vitamina D a più di due milioni di cittadini, in forma preventiva.
Come combattere la carenza di vitamina D
In un documento dell’Università di Torino viene evidenziato come l’Italia sia uno dei Paesi europei, insieme a Spagna e Grecia, in cui si registrano i maggiori casi di ipovitaminosi D. Nei Paesi nordici l’incidenza sembrerebbe minore per “l’antica consuetudine di addizionare cibi di largo consumo - latte, formaggio, yogurt - con vitamina D”.
Come si può rimediare a una carenza? Il consiglio è quello di esporsi il più possibile alla luce solare. Per questo periodo di misure restrittive andranno bene anche balconi e terrazze. In aggiunta vanno consumati cibi ricchi di vitamina D come lo sgombro, il tonno, il salmone, i formaggi grassi, il burro, il tuorlo d’uovo, i funghi e la carne di fegato. In alcuni casi, espressamente sotto controllo medico, si possono anche assumere farmaci specifici.
Va ricordato che non si tratta di una misura preventiva comprovata ma solamente di un’ipotesi ancora al vaglio degli esperti. Come tale va presa con le pinze, anche perché un eccesso di vitamina D può causare calcificazioni diffuse negli organi, fino ad arrivare a contrazioni e spasmi muscolari, vomito e diarrea.
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