L’anno in corso ha ulteriormente evidenziato quelle fratture che da tempo rallentano il processo di integrazione europea. Ora, con il 2021 alle porte, rinsaldare l’Unione sarà la vera sfida di Bruxelles.
Europa: qual è la vera sfida del 2021?
Negli ultimi dodici mesi un cumulo di nubi grigie si è annidato sopra il cielo di Bruxelles: prima il temporale pandemico, che ha riportato indietro le lancette dell’economia continentale, poi il passo incerto dei negoziati Brexit, solo ora ad un punto di svolta.
Sfide epocali, queste, affrontate con abnegazione da parte delle istituzioni europee, eppure il sole fatica ancora a sorgere sul vecchio continente: colpa degli ultimi strascichi della pandemia, con l’avvio del processo di vaccinazione che non implica necessariamente una tregua, ma anche di quel divorzio da Londra che ha lasciato irrisolti dei nodi cruciali.
Più in generale, la crisi sanitaria – con le conseguenti trattative sul Recovery Fund – e la fuoriuscita del Regno Unito hanno messo in evidenza le lacerazioni che stanno da tempo allontanando i cuori europei. Una situazione di certo incompatibile con lo spirito che albergava nei padri fondatori quando nel 1957 firmarono il Trattato di Roma, ma anche con le odierne ambizioni internazionali di Bruxelles.
Bruxelles dovrà rinsaldare l’UE nel 2021
Riuscire a garantire l’osservanza delle regole comunitarie è una priorità per Bruxelles. Del resto, l’impianto di regole comuni istituito nel corso degli ultimi decenni è il cuore pulsante dell’UE, dietro al quale si annidano i principi fondamentali del vecchio continente.
Le intemperanze di alcuni Stati membri non sono di certo una novità, ma le trattative per la definizione dei programmi per la ripresa hanno fatto emergere ulteriormente il precario coordinamento di alcuni Paesi con le normative europee.
Tra questi, come noto, Polonia e Ungheria, con i rispettivi Governi che hanno contestato la condizionalità legata al rispetto dei principi dello Stato di diritto per l’erogazione dei fondi anti-Covid. Un passo indietro delle due fazioni ha permesso di approvare il Recovery Fund e chiudere il bilancio annuale, ma non vi sono dubbi sul fatto che Bruxelles dovrà riportare nei ranghi Morawiecki e Orbán.
Questo, certamente, per non alimentare l’euroscetticismo che impera da anni nel cuore dell’Unione, dove la retorica populista ha fatto leva sulle contraddizioni e le lungaggini della macchina burocratica europea per ingrossare ulteriormente la fronda anti-UE.
Del resto, non erano solo i vittoriosi partiti antieuropeisti del Regno Unito a reclamare un ritorno alla sovranità nazionale: al contrario, una sorta di internazionale populista continua da tempo a lanciare il suo “j’accuse” a Bruxelles, strappando consensi a tutte le latitudini.
Il rischio, ora, è che le prossime elezioni in Olanda e in Germania contribuiscano a cambiare la geografia dei sentimenti in Europa: in entrambi i Paesi movimenti euroscettici godono ormai di ampia rappresentanza e, sebbene le possibilità che strappino una vittoria siano irrisorie, il loro peso politico nello scenario post-voto potrebbe essere tale da influenzare le decisioni governative e alimentare un senso di insofferenza verso le norme comunitarie. Un campanello d’allarme, per Bruxelles.
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