Il G20 si conclude con un accordo e molti propositi. L’obiettivo di non superare 1,5° è stato recepito da tutti, così come la necessità di accelerare sul green. Ecco cosa è stato detto.
Dopo una notte di lavoro, la mattina del 31 ottobre alle 10:30 si applaudiva al raggiungimento di un accordo. Il documento finale del G20 conferma il fondo di 100 miliardi per il sostegno ai Paesi in via di sviluppo, ma sul resto degli impegni c’è qualche attrito.
Mario Draghi, in merito ai passi approvati ha espresso la sua preoccupazione: “Non sono sufficienti”. L’Italia segue la linea più rigida, mentre Russia e Cina si propongono “il raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2060”.
Gli accordi raggiunti al G20 rappresenteranno il punto di partenza per la Cop26, l’annuale conferenza sul clima organizzata dall’ONU. L’occasione è della massima importanza perché cercherà di definire il metodo per assicurarsi che i Paesi rispettino gli accordi presi a Parigi e che questi non rimangano solo dei bla bla bla e delle “belle dichiarazioni”.
G20 sul clima: accordo trovato, ma non senza difficoltà
La discussione tra i Paesi del G20 si è protratta a lungo durante la notte e questa mattina, dopo il lancio della monetina nella Fontana di Trevi, è stato raggiunto l’accordo sul tetto massimo del riscaldamento globale.
I Paesi hanno confermato che il riscaldamento globale non deve superare l’1,5°. Oltre tale soglia i Governi, come è stato ripetuto da alcuni dei leader, potranno dire di aver fallito la sfida per l’ambiente.
Secondo Mario Draghi infatti, bisogna “agire il prima possibile per evitare conseguenze disastrose sul clima”. Insomma, bisogna agire il prima possibile anche per evitare che i costi, una volta superato il limite, siano insostenibili.
G20: cosa è stato deciso?
Il G20 si chiude con una certa soddisfazione generale, ma nell’aria si sentono già le critiche per non aver fatto e proposto abbastanza. Ma cosa è stato deciso nell’incontro sul clima?
I punti essenziali sono tre:
- fondo per il clima da 100 miliardi per il sostegno ai Paesi in via di sviluppo;
- tetto massimo sul riscaldamento globale trovato entro 1,5°;
- indicazione di un periodo di tempo entro il quale attuare azioni intorno a metà del secolo.
Il fondo per il clima per i Paesi in via di sviluppo, che è fissato a 100 miliardi, prevede un sostegno concreto ai Paesi per incrementare la produzione senza innalzare le emissioni.
Ma è sul tetto massimo accettabile del riscaldamento globale che il G20 fa un primo importante passo. Il fatto stesso di riconoscere che non c’è una possibilità di “cura” e per questo bisogna cercare di mantenere l’innalzamento della temperatura entro l’1,5°.
Le conseguenze di quanto fatto fin’ora non possono essere fermate, ma possono essere contenute e l’investimento nei Paesi in via di sviluppo è un primo impegno per evitare scenari di migrazione per danni ambientali (di cui abbiamo già tristi resoconti).
G20 sul clima: un decennio può fare la differenza?
Se è vero che tutti i leader si sono dimostrati consapevoli del problema climatico e abbiano riconosciuto la necessità di salvaguardare il Pianeta quanto le future generazione, rimane vero anche un altro aspetto: quello economico.
Il G20 ha chiuso, per esempio, sulle trattative per le centrali a carbone, che non saranno rifinanziate dopo questo anno. Il Presidente francese, Emmanuel Macron, in merito ha sottolineato l’impegno ad accelerare l’uscita dal carbone, mettendo un termine ai finanziamenti delle centrali a carbone, in particolare in Africa. Macron ha da tempo puntato sull’energia nucleare per il passaggio alle energie green, anche se l’Europa non si è ancora espressa in merito all’inserimento del nucleare nella categoria green.
In ogni caso questa accelerata deve avvenire il prima possibile, anche per tentare di dare più risultati concreti sul clima. Il G20 ha così deciso su un generico metà secolo come periodo entro il quale gli obiettivi di energia green, tra cui l’ambizioso “emissioni zero”, dovranno essere raggiunti.
Non tutti però hanno dato un cenno affermativo per il 2050. Tra questi Russia e Cina che perseguono obiettivi economici e di produzione individuali e hanno già annunciato una loro uscita dall’energia a carbone entro il 2060. Dieci anni dopo.
Dieci anni potrebbero però fare la differenza e lo stesso Mario Draghi ha continuato a sottolineare la necessità di un cambiamento di rotta. Le parole del Presidente americano Joe Biden (primo Paese per impatto ambientale) sono rivolte in particolare ai leader accanto a lui, ma sono anche un messaggio per i più giovani:
Non voglio che le precedenti generazioni guardino al vertice di oggi pensando: ecco come abbiamo fallito. Le future generazioni devono pensare: ecco perché abbiamo avuto successo.
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