In 23 Stati (tutti a guida repubblicana) il programma federale terminerà con netto anticipo sulla scadenza nazionale del 6 settembre. La ragione? Troppi cittadini preferiscono l’assegno statale a un posto di lavoro. E per un cittadino dell’Iowa, questo significa almeno 4.000 dollari in meno. Ennesimo capitolo della polarizzazione nata dall’amministrazione Trump o epico esperimento di ingegneria sociale verso l’helicopter money?
Un vero e proprio labor test. Ma anche un esperimento sociale. E politico. Dal prossimo 12 giugno, milioni di americani perderanno il sussidio garantito dallo schema di protezione federale di contrasto alla pandemia. E lo faranno in ossequio a una divaricazione partisan del Paese: gli Stati a guida repubblicana, infatti, staccano la spina per paura di una cronicizzazione del fenomeno che vede un numero sempre crescente di datori di lavoro disperati nel cercare personale. Il quale, spesso e volentieri, trova più conveniente incassare l’assegno del governo che rimettersi in gioco. Mero calcolo costi/benefici: se la paga offerta per un impiego magari sgradito è più bassa del sussidio che mi consente di restare sul divano, chi me lo fa fare?
E questo grafico,
Fonte: Bloomberg
il quale compara le aperture di nuove attività economiche (di fatto, posti di lavoro a disposizione) con il trend di richieste continuative di sussidi di disoccupazione, pare confermare la dinamica. Quindi, entro due settimane, l’America si spaccherà nettamente a metà: 23 Stati, gradualmente, ritireranno il grosso dei benefit.
Fonte: Oxford Economics/Haver Analytics
I primi, il 12 giugno appunto, saranno Alaska, Iowa, Missouri e Mississippi. Dal 19, poi, Alabama, Idaho, Indiana, Nebraska, New Hampshire, North Dakota, West Virginia e Wyoming fino all’ultima, l’Arizona attesa al suo D-day il 10 luglio. Il resto della nazione, invece, milioni di americani che abitano in Stati governati dai Democratici, potranno contare sull’extra-protezione fino alla data di scadenza statutaria del piano, il 6 settembre.
E non si tratta di una variazione da poco, poiché CNBC ha calcolato che per un lavoratore dell’Iowa, ad esempio, la venuta meno degli incentivi contenuti dei due piani (Pandemic Unemployment Assistance e Pandemic Emergency Unemployment Compensation) si sostanzierà in una perdita netta di 4.000 dollari. O anche maggiore, in caso di tratti di un cosiddetto gig worker non qualificato per ottenere sostegno federale o un disoccupato da più di 26 settimane, l’arco temporale normalmente coperto dall’assistenza in molti Stati. Ma ecco che questi due grafici
Fonte: Bloomberg
Fonte: Indeed
paiono inserirsi come discrimine critico nel trend: il primo compara il tasso di disoccupazione negli Stati a guida repubblicana (rosso) con quelli governati dai Democratici (blu) e già oggi, in fase di mero annuncio dello split fra politiche di welfare, la dinamica sembra destinata a una divaricazione ulteriore che si ponga come caso di studio. E, di fatto, materia di scontro ideologico in sede parlamentare al Congresso.
E il secondo grafico appare ancora più stimolante al riguardo, poiché mostra come la ricerca attiva di lavoro abbia vissuto un picco nel mese di maggio, relativamente al trend nazionale, in contemporanea con l’annuncio da parte dei governi locali di ritiro anticipato delle misure di sostegno. E se JP Morgan nel suo ultimo report ha infatti sentenziato come la scelta degli Stati rossi sia totalmente ascrivibile alla sfera della politica e non dell’economia, due deputati democratici, il californiano Jimmy Gomez e la rappresentante del Wisconsin, Gwen Moore, non hanno perso tempo e hanno chiesto ufficialmente al presidente Biden di includere gli attuali piani di pagamento diretto e assicurazione automatica sulla disoccupazione nel suo American Families Plan, in modo da rafforzare la rete di sicurezza necessaria in caso un’altra pandemia e una crisi economica conseguente dovessero colpire il Paese.
Insomma, dall’emergenza al new normal emergenziale. Di fatto, a detta di qualcuno, il prodromo fattivo all’istituzionalizzazione del concetto universalistico di helicopter money, nulla più che la fetta di torta spettante al mitologico 99% della società rispetto al banchetto apparecchio dal QE perenne per l’1% che fa capo a Wall Street e al sistema finanziario. Una sorta di minimo sindacale compensativo. E, soprattutto, un mezzo a deficit per garantirsi la pace sociale, quantomeno ragionando su orizzonti temporali brevi e scadenzati. Prima fermata dei quali, oggi, è già rappresentata dalle elezioni di mid-term.
Insomma, tanta ideologia e poco economia. Esattamente la dinamica che pare governare le scelte della Fed in fatto di politiche di supporto monetario al sistema, finora vendute con successo sotto le mentite spoglie di intervento salvavita rispetto a fall-out sociali di crisi imprevedibili (Lehman Brothers prima, Covid poi). In realtà, un’iniezione di adrenalina nel cuore in stile Pulp fiction a beneficio unicamente di un sistema finanziario giunto sul punto di grippare nuovamente, sotto il peso dei propri eccessi - non di eroina - ma di indebitamento e leverage. Same old story, insomma.
L’America si candida a laboratorio a cielo aperto dell’assistenzialismo come forma di controllo sociale, a sua volta alibi securitario e ideologico per la prosecuzione open-ended di monetizzazione del debito e finanziamento diretto del deficit attraverso programmi emergenziali che divengono strutturali. Il secondo tempo dello scontro Trump-Biden, la fase centrale della polarizzazione terminale della politica e della società Usa sta per andare in scena. E ritenere la dinamica nascente di due nazioni differenti su base reddituale un qualcosa di locale è quanto di più provinciale e miope si possa fare: il Qe nasce negli Usa come risposta alla crisi Lehman, il Whatever it takes ne è conseguenza.
Attenzione quindi a questa versione da welfare state di A tale of two cities di Charles Dickens, uno che di scontro sociale e miseria ne sapeva qualcosa. Perché la logica conseguente a una scelta di potere volutamente divisiva come questa, quasi un divide et impera dei nostri giorni fra salariati e sussidiati, la guerra fra poveri al suo meglio di dissimulazione, è quella - ancor più distopica e pericolosa - de La fattoria degli animali. Più che un labor test, insomma, una finestra di Overton. L’ennesima.
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