Le battaglie di Joe Biden per i suoi primi 100 giorni di Governo.
E’ stato un giorno intenso per Joe Biden, il primo alla Casa Bianca. Ha firmato decine di ordini esecutivi, che sono lo strumento con cui i presidenti introducono, d’imperio, decreti che hanno forza di legge, senza passare dalla ratifica del Congresso dove risiede il potere legislativo. Oppure sono decisioni che sono di pertinenza di un capo di governo, come è il caso dell’adesione a organizzazioni internazionali (l’accordo di Parigi e l’Organizzazione mondiale della Salute, per esempio). In seguito, le novità normative si risolvono con un voto parlamentare di conferma, se ci sono i numeri. Oppure nelle aule dei tribunali, su su fino alla Corte Suprema, se i cittadini o le amministrazioni si ritengono colpiti dalla misura introdotta e fanno causa, lamentando la non aderenza alla costituzione e alle leggi.
La battaglia di Biden al Covid-19
Larga parte dei decreti firmati nelle prime ore da Biden riguardano la battaglia contro il Covid-19, dall’obbligo delle maschere ai piani per potenziare la produzione e distribuzione dei vaccini. Credo che tutti, io mi metto in prima fila, dobbiamo fare il tifo perché Biden abbia successo. Lo so, non è stato l’approccio della stampa e dei Democratici verso l’amministrazione precedente: da quando era scoppiato il morbo, gli anti-Trump si auguravano solo, e rumorosamente, che il dramma sanitario-sociale divorava le sue chance di rielezione. Senza riconoscere mai che il presidente stava facendo il possibile per salvare vite e trovare i vaccini, cercando insieme di non distruggere l’economia. E ha fatto molte cose bene, lo ha riconosciuto pure Anthony Fauci, l’immortale virologo di 4 o 5 presidenti.
Ora siamo in un altro universo, e io salgo sul carro della speranza. Prima di valutare, ed eventualmente criticare con giudizi di merito, le mosse dell’amministrazione Democratica, è giusto concedere a Biden come minimo i primi 100 giorni in cui si è impegnato a vaccinare 100 milioni di cittadini. Ha il diritto-dovere di organizzare e gestire la sua risposta, e merita il beneficio del dubbio per un tempo ragionevole. L’astio preventivo e i pregiudizi contro Trump, a cui ho assistito l’anno scorso, mi hanno convinto che di fronte a una crisi drammatica che può provocare quest’anno ancora centinaia di migliaia di morti, forse un milione, in quanto cittadini noi possiamo essere migliori. O, banalmente, non stupidamente faziosi anche nelle emergenze. Il che non significa affatto essere bipartisan su tutte le normali questioni politiche, dove sono in gioco valori, ideali, e ricette per vivere meglio. Qui, Biden ha gettato la maschera in 24 ore.
leggi anche
Il piano di Biden per sconfiggere il Covid-19
La battaglia di Biden contro il Global Warming
Sul “riscaldamento globale”, il presidente ha promesso con una lettera di rientrare entro 30 giorni nell’Accordo di Parigi, ribaltando la decisione del predecessore che nel 2019 annunciò l’addio alla coalizione delle 200 nazioni firmatarie. L’efficacia del patto nel contenere il riscaldamento del pianeta è più che discutibile: la Cina, pur essendo il maggiore paese al mondo inquinatore dell’atmosfera, non dovrà rispettare alcuna costrizione fino a dopo il 2030, mentre gli USA negli ultimi anni sono già riusciti a contenere le emissioni da combustibili fossili sotto il livello cui sarebbero stati costretti dall’Accordo di Parigi, protagonisti il mercato e la tecnologia.
Il risultato della riduzione di emissioni è avvenuto grazie all’incremento nella estrazione (con il fracking idraulico) del gas naturale, molto più “pulito” del carbone e del petrolio e componente fondamentale nel rendere gli USA indipendenti dal Medio Oriente sul piano energetico. Ma se “Parigi”, per Biden, vuol dire mostrare rispetto verso l’ambientalismo quale fede ideologica, un’altra firma, quella per revocare il permesso per la costruzione sul territorio americano della “Keystone XL pipeline” ha effetti negativi concreti e immediati. Il gasdotto, per il quale Trump aveva dato il via libera, doveva trasportare il gas naturale prodotto in Canada da una ditta locale alle raffinerie degli Stati americani sul Golfo del Messico. I lavori erano in corso, e lo stop creerà 10 mila disoccupati dall’oggi al domani, oltre agli investimenti finanziari andati in cenere. Ma il gas viaggerà lo stesso, su camion e ferrovia, a costi maggiori e con più danno all’ambiente.
Biden e la battaglia per l’immigrazione
Biden ha rivitalizzato con un ordine specifico il DACA (Deferred Action for Childhood Arrivals), il piano che rinvia, all’eternità, le deportazioni dei clandestini più giovani, portati qui da bambini. Il Congresso è stato pure invitato dal presidente a passare una legge che crea un iter per far diventare cittadini tutti gli 11 milioni di illegali, di fatto una amnistia generale per chi era entrato illegalmente nel passato. Va da sé che il messaggio è stato recepito subito da chi è ancora fuori dall’America. In Honduras e negli altri Stati del Centro America si stanno riformando le carovane di disperati del passato, prima che Trump convincesse il Messico a collaborare con gli USA per non farli arrivare ai confini del Texas e della California. In proposito, con un altro implicito incoraggiamento, il presidente ha firmato il blocco della costruzione del “Muro di Trump” al confine con il Messico. Centinaia di miglia sono state erette dalla amministrazione repubblicana, modernizzando tecnologicamente, o aggiungendosi tout court a quelle costruite da George W.Bush e da Obama. Perché il Muro, per chi non lo sapesse, era stato deciso e avviato da oltre due decenni. Ma solo con Trump l’idea di fornire al Paese confini protetti è diventata politicamente scorretta, ed ora Biden deve genuflettersi alla ortodossia dettata dalle varie Ocasio-Cortez.
E’ noto che l’ala sinistra del partito DEM propugna i “confini aperti”, e chiede per legge l’abolizione dell’ICE (l’agenzia delle guardie federali di frontiera). Ed è un fatto di cronaca eversiva di sinistra che, nella notte successiva al giuramento di Biden, la frangia anarchica e marxista degli Antifa ha dato l’assalto alle sedi federali ICE di Seattle (Washington State) e Portland (Oregon): una dichiarazione di guerra all’ordine e alle istituzioni, che ha ripreso il filone delle sommosse della scorsa estate contro i simboli del patriottismo americano, statue dei padri fondatori e sedi della polizia comprese. Ma anche se ci sono state decine di arresti, i media liberal hanno messo la sordina a questi disordini. Mica sono i Proud Boys fanatici di Trump.
© RIPRODUZIONE RISERVATA