Il lavoratore dipendente può permettersi di avanzare una critica all’operato del suo superiore ma senza esagerare e sconfinare nell’offesa. Il lavoratore indisciplinato può rischiare il licenziamento?
Il dipendente che critica il datore di lavoro può rischiare il licenziamento? Avere dei dissidi con il proprio capo è comune tra i lavoratori ma in questi casi il confine tra le critiche lecite e illecite è molto labile: da una parte c’è il dovere del dipendente di essere fedele e rispettoso, di non compiere gesti di insubordinazione e di non ledere l’immagine dell’azienda, d’altra parte c’è il suo diritto a manifestare liberamente le proprie opinioni.
Il lavoratore quindi può giudicare le decisioni prese dal capo di fronte al quale non si trova in una condizione di totale soggezione servile. Spesso in azienda capita di alzare anche i toni e non limitarsi al semplice confronto. Cosa succede in questi casi? Il lavoratore va incontro a delle sanzioni o il datore di lavoro può addirittura decidere per il licenziamento?
Sulla questione si è espressa più volte la Cassazione che ha fornito sentenze in apparenza contraddittorie ma che sostanzialmente rispecchiano le differenti situazioni. I limiti non sono definiti e bisogna stare attenti a capire fin dove si può spingere la critica.
La critica e i suoi limiti
L’offesa al proprio datore di lavoro è di solito annoverata dalla giurisprudenza e da numerosi contratti collettivi tra i motivi di licenziamento per giusta causa: tale comportamento infatti minaccia irreparabilmente il rapporto di fiducia che deve sussistere tra imprenditore e dipendente.
Al dipendente è riconosciuto il diritto di critica nei confronti delle scelte del datore di lavoro; anche questo diritto, sebbene tutelato dalla Costituzione, incontra però dei limiti di correttezza formale che sono imposti dall’esigenza di tutelare la persona umana. Se si travalicano questi limiti il comportamento del lavoratore è causa di licenziamento anche se mancano gli estremi penali del reato di diffamazione.
Questo non significa che il lavoratore non possa attaccare anche in modo deciso le scelte aziendali ma la critica non può trasformarsi in vera e propria offesa e scontro violento.
La satira ad esempio è concessa ai dipendenti ma anche in questo caso esistono dei limiti che non possono essere valicati: la Cassazione ad esempio ha considerato illegittimo l’atteggiamento di alcuni lavoratori che avevano messo in scena l’impiccagione dell’amministratore delegato dell’azienda.
Social network
Molti sono i lavoratori poi che addirittura si premurano di mettere per iscritto gli insulti e le offese dirette al proprio capo su facebook. Questo avviene un po’ come sfogo personale e un po’ come necessaria conseguenza del ruolo che hanno oggi i social network nella vita di ognuno.
Alto è il numero di sentenze che si sono pronunciate sulla questione propendendo per il licenziamento per tali comportamenti diffamanti sul web. Se è vero infatti che si possono avanzare critiche all’azienda e al datore di lavoro che la rappresenta è vero anche che queste espressioni non devono essere volte a danneggiare i soggetti interessati con un atteggiamento di offesa.
Altro comportamento a cui è necessario fare attenzione è l’offesa rivolta ai colleghi di lavoro, comportamento per cui si può rischiare il licenziamento. Per avere un’idea più precisa del licenziamento per offese sui social network invitiamo alla lettura del nostro articolo.
Reazione a comportamento ingiusto
Il discorso cambia nel caso in cui le offese del lavoratore siano una conseguenza e una risposta a un comportamento ingiusto messo in atto dal datore di lavoro. Se il dipendente vive un clima teso, nel momento in cui subisce minacce di un licenziamento o di una riduzione dello stipendio può essere spinto istintivamente a reagire in modo deciso.
La Cassazione infatti ha ritenuto naturale l’atteggiamento del lavoratore in risposta a un richiamo eccessivo da parte del datore di lavoro: il dipendente infatti non è sottomesso e non deve accettare anche gli abusi. Questo vale anche nel caso in cui la reazione risulti maggiore della causa che l’ha generata.
© RIPRODUZIONE RISERVATA