Il gigante francese abbassa le previsioni per il 2022, inasprendo la crisi dei prezzi. Di colpo, Draghi cambia registro e parla di «intervento di ampia portata» sulle bollette. Non eravamo alleati?
Nei prossimi giorni avremo un intervento di ampia portato contro il caro-bollette. Così parlò da Genova, Mario Draghi. Come mai questo repentino cambio di impostazione, dopo giorni di rinvio e ridimensionamento delle richieste economiche avanzate in seno al governo, ad esempio dalla Lega? Nuovo scostamento di bilancio in vista, nonostante il nemmeno troppo velato richiamo alla disciplina del vice-presidente della Commissione Ue, il falco Vladis Dombrovskis?
Per avere una risposta non occorre guardare al quadrilatero del potere romano e ai fragili equilibri di governo post-elezione presidenziale, bensì spingere l’orizzonte un po’ più in là. Oltre le Alpi. Perché mentre Mario Draghi annunciava l’intervento statale sul fronte energetico, da Parigi giungeva la notizia dell’ormai imminente revoca del pass vaccinale. Di fatto, la Francia a fine marzo eliminerà tutte le restrizioni in vigore e ripartirà a pieno regime. Un segnale chiaro di corsa contro il tempo per evitare che il rallentamento della crescita si traduca in eccessivo calo del Pil nei primi due trimestri dell’anno.
Ma c’è dell’altro. La Francia, infatti, sembra aver posto in essere una diplomazia parallela che sottende un’agenda nascosta di sfruttamento della contingenza economica. Lo mostra plasticamente questo grafico,
dal quale si evince come per la prima volta da trenta anni a questa parte, EDF quest’anno scenderà sotto quota 300 terawatt/ora nella produzione di elettricità dai suoi impianti nucleari. Se infatti le previsioni per il 2022 erano inizialmente fissate nel range 300-330, ieri il management di Electricite de France SA ha comunicato come si sia scesi a 295-315.
Una forchetta preoccupante, poiché a detta di Emeric de Vigan, CeO dell’azienda di analisi energetica francese COR-e, quando i target si avvicina così tanto ai 300 terawatt/ora o addirittura si scende al di sotto, il mercato comincia a prezzare preoccupazioni per il prossimo inverno in termini di domanda e offerta. Non a caso, subito dopo la pubblicazione della nota il contratto a un anno tedesco, il benchmark europeo per l’elettricità, è salito del 4,7% a 147 euro per megawatt/ora, mentre il contratto di marzo ha segnato un +5,5%. Addirittura del 7% l’aumento del prezzo in Francia, dove si è arrivati a 162 euro per megawatt/ora, il massimo da inizio anno.
Alla base della decisione, una serie di criticità, guasti e opere di manutenzione non programmata a un numero sempre crescente di impianti. Un problema, poiché la Francia è il principale esportatore di energia d’Europa, forte di un 10% delle sua domanda che si traduce in export estero, stando a dati della Enappsys Ltd. E se un buying-back di 15 terawatt/ora al prezzo attuale costerebbe a EdF 2,1 miliardi di euro, circa l’8% della capitalizzazione dell’azienda, l’intero spettro delle valutazioni - già alle stelle - rischia di non vedere il proverbiale picco ancora per mesi.
Di fatto, un clamoroso regalo politico a Vladimir Putin e alla sua politica di utilizzo geopolitico delle risorse energetiche. Causalmente, la mossa di EdF è giunta dopo il meeting fra Emmanuel Macron e Vladimir Putin al Cremlino, sei ore di faccia a faccia ufficialmente dedicate al tema della de-escalation in Ucraina. Un po’ troppe, però. Quantomeno, alla luce degli scarsi risultati concreti portati a casa. Forse l’inquilino dell’Eliseo, alla faccia del Patto del Quirinale e della fedeltà atlantica ed europeista, ha guardato agli interessi nazionali e preso in contropiede i troppi distinguo posti dalla politica italiana alla proposta del presidente russo di fornitura di gas a prezzo calmierato, avanzata prima nel meeting con i dirigenti delle aziende e poi nella telefonata con Mario Draghi?
Se così fosse, si configurerebbe una guerra aperta fra PMI, poiché le aziende francesi possono già contare su un enorme vantaggio nei confronti di quelle italiane: il governo di Parigi, infatti, ha fissato a un massimo del 4% l’aumento dei costi energetici per le imprese, forte di un intervento statale e dei risparmi garantiti proprio dal nucleare. Già così, le piccole e medie imprese italiane partono per la gara dei 100 metri con i pesi alle caviglie. E con la manifattura italiana che da sempre occupa la seconda posizione europea, proprio davanti a quella francese, qualcuno Oltralpe potrebbe aver intravisto l’occasione del sorpasso. Stringendo però in curva, quantomeno stante i toni di eterna collaborazione sparsi a piene mani soltanto il 26 novembre scorso, all’atto della firma dell’accordo Italia-Francia sul Colle.
Perché l’immediata reazione dei prezzi di mercato alla comunicazione di EdF tradisce la quasi certezza di una strategia tanto nascosto quanto chiara: la quota parte di output in meno che EdF otterrà dai suoi reattori farà chiaramente riferimento all’export e non certo al mercato interno, il quale potrà quindi partire con una spanna (abbondante) di vantaggio sui competitor commerciali e produttivi. Detto fatto, Mario Draghi per avere scordato di colpo ogni remora di sostenibilità dei conti e aperto a un immediato e corposo intervento dello Stato sul caro-bollette.
Se per caso dall’UE arrivassero contestazioni relative a questo ennesimo scostamento o all’allocazione fuori contesto di risorse in seno al PNRR, il dubbio si tramuterebbe in sospetto circostanziato. Se poi si arrivasse anche in Italia un’accelerazione di stampo francese sulla revoca delle misure restrittive, green pass in testa, avremo la certezza di una guerra commerciale in piena regola appena scoppiata ufficialmente. Mossa da Parigi, il nostro presunto alleato contro il rigorismo di Germania e Paesi frugali nella riforma del Patto di Stabilità. Come si suol dire: con amici così, chi ha bisogno di nemici?
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