Il bull market perdura da 11 anni. Ma dietro le performance dei mercati finanziari ci sono gli strumenti di politica monetaria delle banche centrali.
11 anni di mercato rialzista possono essere spiegati dal costante ricorso al Quantitative easing da parte delle banche centrali.
Ad esserne convinti gli analisti, che dopo l’ennesimo anno in crescita dei mercati azionari – nonostante le turbolenze pandemiche – si sono interrogati sulla solidità di questa perdurante «bull run».
Come noto, nel 2008 i mercati furono travolti dalla più intensa crisi economico-finanziaria dal 1929, in un turbinio di congiunture sfavorevoli che avevano colpito le principali istituzioni occidentali (tra queste Lehman Brothers, che chiuse i battenti).
Grazie ad una politica monetaria particolarmente aggressiva, poi, i mercati azionari riuscirono a liberarsi dalla morsa che li stava lentamente soffocando. Ma il supporto delle banche centrali è stato tale da far sorgere un inquietante interrogativo: cosa resterebbe di questo «bull market» senza il Qe?
Il Qe dietro al mercato rialzista
Quando le banche centrali decidono di stampare più moneta i prezzi tendono a salire, poiché c’è un maggior volume di dollari a caccia di asset sui mercati. Ora, è necessario sviscerare le performance registrate negli ultimi anni dalle piazze finanziarie per comprendere in che misura il mercato rialzista è stato alimentato dall’apprezzamento dei fondamentali economici o, più banalmente, dalle manovre delle banche centrali a sostegno dell’economia.
Ad esempio, l’indice S&P 500 – che segue l’andamento di un paniere formato dalle cinquecento società statunitensi a maggiore capitalizzazione – è in crescita del 20% quest’anno. Un risultato considerevole, che tuttavia viene in gran parte smorzato dall’incremento della massa monetaria registrato negli ultimi dodici mesi (+51%). Se includessimo nei nostri calcoli i dati relativi all’inflazione monetaria, questo stesso indice si muoverebbe in acque particolarmente agitate (-31%).
Da quando è stata inaugurata l’era aurea del Qe – nel 2008 – il tasso di crescita medio dell’indice S&P 500 è stato del 12%, ma maggiore è stato l’incremento dell’offerta di moneta (+13%). Con l’inflazione monetaria inserita debitamente nell’equazione, quello dell’indice made in USA diviene un trend ribassista decennale (-1%).
In breve, questi 11 anni hanno sancito il progressivo discostamento della finanza dall’economia reale. I mercati – ed è questa l’unica lezione che possiamo trarre da queste performance apparentemente incoraggianti – hanno sviluppato una crescente dipendenza dagli strumenti di supporto delle banche centrali.
Ma questo enorme flusso di moneta, a ben vedere, è destinato ad essere spento nel breve termine. Quando l’economia globale tornerà a far rombare i motori, le banche centrali perderanno infatti quel supporto politico necessario a stampare un maggior volume di moneta. A quel punto – e dopo oltre un decennio – i mercati azionari dovranno imparare, nuovamente, a sostenersi da soli.
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