Nucleare: il rischio catastrofe è reale ma l’Europa sta zitta

Erasmo Venosi

18 Gennaio 2018 - 08:54

Il rischio nucleare nel cuore dell’Europa è una realtà zittita e omessa dalla Commissione UE.

Nucleare: il rischio catastrofe è reale ma l’Europa sta zitta

Nelle ultime settimane numerosi sono stati gli allarmi su un rischio nucleare, sempre più probabile. Il Papa che denuncia il rischio di guerre nucleari, un capo di partito che sulla prima rete annuncia lo stesso pericolo.

Tre giorni fa nelle Hawaii è scattato il sistema nazionale di emergenza che inoltra messaggi sui cellulari e sulle reti sociali. Lunedì è stato annunciato un allarme, poi rivelatosi falso, da parte di una televisione giapponese e fortunatamente non è stato attivato il sistema di emergenza nazionale: allarmi conseguenti al lancio dei missili intercontinentali da parte della Corea del Nord e all’annuncio, tutto da verificare, che hanno messo a punto la bomba termonucleare, che utilizza il processo di fusione di deuterio e trizio in luogo del processo di fissione dell’uranio o del plutonio con effetti di alcune centinaia di volte più potente di quelli di Hiroshima.

Gli arsenali nucleari disponibili e noti nel mondo corrispondono, per ogni abitante del mondo, a circa i tre quarti di tritolo che può contenere un vagone ferroviario. Quindici tonnellate di tritolo a persona. Ventiduemila testate nucleari nel mondo.

La struttura difensiva/offensiva degli Stati è costituita da un armamento strategico composto da testate nucleari montate sui missili balistici intercontinentali (ICBM), a cui si affianca un armamentario tattico ovvero armi nucleari “leggere” con potenzialità a volte maggiore della bomba lanciata su Hiroshima.

I trattati di riduzione (START) riguardano solo le armi nucleari strategiche. Gli USA per i programmi di sicurezza hanno speso 760 miliardi di dollari. Strabica e muta, invece, l’Europa nel denunciare e intervenire sui rischi da nucleare civile, davvero sottostimati, che hanno portato alcuni mesi fa alla distribuzione di pasticche di iodio ad Aquisgrana, in Germania, per limitare i danni in caso di incidente nucleare grave. Addirittura sono state distribuite in Olanda pillole a tre milioni di cittadini che vivono a una distanza di 100 Km da una centrale nucleare.

Le centrali pericolose? In Belgio, quella di Doel e quella di Tihange, che hanno più di 40 anni. Due centrali che presentano due crepe nelle pareti e la cui enorme pericolosità è certificata da due docenti di impianti nucleari dell’Università di Lovanio. Docenti che smascherano anche le argomentazioni minimizzatrici del rischio operato dalla Agenzia belga di controllo (FANC).

La strategia negazionista è sempre la stessa di ogni Paese. Agenzia di controllo che nega, accademici che tacciono, rettori di Università che intervengono per far tacere chi denuncia. Nel caso belga però un altro docente di ingegneria nucleare e dei materiali ha chiesto la chiusura immediata delle centrali per delle crepe in due degli otto reattori che formano le due centrali e iniziatesi a formare nel 2012. Tre anni fa le crepe erano diventate 13.000 nel reattore 3 di Doel e quasi 3.500 nel reattore 2 di Thiange.
Da notare che in vari controlli era stato concesso il “tutto va ben”.
La centrale di Doel sorge vicino alla città di Anversa con porto, impianti di raffinazione del petrolio e industrie chimiche e tutto questo non ha impedito nel 2015 al Parlamento belga di prorogare il funzionamento dei reattori 1 e 2 fino al 2015, portando la “vita utile” del reattore a 50 anni.

È una bomba a tempo posta nel cuore d’Europa mentre Commissione UE e Agenzia per la Sicurezza Atomica (AIEA) delle Nazioni Unite non danno cenni di esistenza su questo pericolo.

L’annuncio dello “spegnimento” del reattore 3 di Doel è di alcuni giorni fa e la motivazione è che la la “capsula di cemento armato non è più a norma”. Resta l’interrogativo: perché angosciarsi giustamente per i rischi del nucleare militare nell’estremo oriente e poi fare gli struzzi sul rischio in casa?

Una riflessione rigorosa andrebbe fatta dall’AIEA sui molti reattori che dovevano cessare di produrre energia e hanno ottenuto la proroga di funzionamento. Una valutazione sui reattori “vicino casa”, entrati nell’UE con i Paesi dell’Est, andrebbe sollecitata in ambito Unione Europea. I paesi dell’Est hanno portato nell’UE 26 reattori nucleari, quasi tutti di vecchia generazione, e realizzati con tecnologie ritenute vecchie: i reattori RMBK e VVER 230. I reattori VVER di vecchia concezione non sono modificabili sul piano della ricerca di una maggiore sicurezza e devono essere solamente chiusi. I Trattati bilaterali sottoscritti dai Paesi dell’Est con l’UE ne prevedono la chiusura. Ad eccezione del reattore RMBK della Lituania, che ha cessato di funzionare nel 2009, il programma di chiusura degli altri reattori è inattuato.

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