Il Governo intende puntare ancora sul contratto d’espansione. Come spiegato da Tiziana Nisini (Lega), l’intenzione è di consentire anche alle aziende con almeno 50 dipendenti di aderire a questo strumento.
Il Governo sembra aver trovato la “ricetta” per far sì che l’accesso alla pensione possa essere anticipato di qualche anno, facendo gravare sulle casse delle aziende il costo della flessibilità.
Va detto, però, che in questo modo ci si riferisce a una platea molto limitata di persone, in quanto non sono molte le aziende che accettano di farsene carico.
Nel dettaglio, stiamo parlando del contratto di espansione, strumento che consente al lavoratore di smettere di lavorare con cinque anni di anticipo con l’azienda che nel contempo deve aderire a un piano di ringiovanimento del personale assumendo nuove leve.
Contratto d’espansione: il Governo ci punta per mandare via dal lavoro con cinque anni di anticipo
Come anticipato, però, è l’azienda stessa a farsi carico dell’indennità riconosciuta al lavoratore prima che questo raggiunga i requisiti per la pensione; inoltre, nel caso in cui al lavoratore manchino dei contributi per il raggiungimento del diritto alla pensione anticipata, il datore di lavoro dovrebbe farsi carico anche della contribuzione mancante.
Insomma, misura che solo poche aziende possono “economicamente” permettersi. E anche lato lavoratori non c’è chissà quale guadagno: anzi, secondo le stime, chi smette di lavorare ricorrendo al contratto d’espansione perde fino a 80.000 euro di pensione.
Nonostante ciò, il Governo sembra intenzionato a puntare ancora sul contratto d’espansione, rafforzandolo. Ne ha parlato il sottosegretario al Lavoro, Tiziana Nisini (Lega), al Corriere della Sera, facendo chiarezza su come il contratto d’espansione sarà un ulteriore strumento con il quale “contrastare lo scalone di cinque anni che si verrà a creare con la fine di Quota 100”.
Nisini, Lega: “In pensione cinque anni prima per dare spazio ai giovani”
Tiziana Nisini, Lega, rivendica quanto fatto dal Governo Draghi per il contratto d’espansione. Ricordiamo, infatti, che con gli ultimi provvedimenti questo strumento è stato esteso anche alle aziende che hanno più di 100 dipendenti (mentre precedentemente questo era limitato solamente ad aziende con numeri ben più alti).
A oggi, grazie alle novità introdotte con la Legge di Bilancio 2021, è di circa 15.000 lavoratori la platea dei potenziali beneficiari del contratto d’espansione. Ma non è abbastanza: come spiegato da Tiziana Nisini, infatti, il prossimo step deve essere quello di scendere sotto i 100 dipendenti, aumentando quindi la platea di coloro che potrebbero smettere di lavorare cinque anni prima.
Ma va detto che, più l’azienda è piccola e meno possibilità economiche avrà per farsi carico dei costi del contratto di espansione ed è per questo che i numeri dovrebbero rimanere molto bassi. Insomma, non si può pensare a questa misura come il futuro delle pensioni, in quanto si tratta di una possibilità che rimarrà circoscritta a poche persone.
Sicuramente alla base c’è un principio molto importante: il ricambio generazionale.
Con il contratto d’espansione, infatti, l’azienda si libera di coloro che ormai hanno delle competenze obsolete in favore di giovani più specializzati e che - per un fattore d’anzianità - costerebbero anche meno. Il lavoratore, quindi, andrebbe in pensione con cinque anni di anticipo, accettando però una riduzione dell’assegno, mentre l’azienda potrebbe completare un processo di ricambio generazionale.
Il problema sta nei costi: quali aziende, dopo più di un anno e mezzo di crisi economica causa pandemia, accetteranno di farsi carico delle spese necessarie per il pensionamento anticipato?
Come spiegato dalla Nisini, comunque il Governo sta valutando di abbassare la soglia dei 100 dipendenti. Si potrebbe arrivare a 50, ma “è ancora presto per dirlo perché è necessario fare tutte le valutazioni del caso, comprese quelle sulle coperture”.
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