Le pensioni dei calciatori italiani variano a seconda che si tratti di professionisti o dilettanti. Vediamo quando ci vanno e soprattutto perché il sistema è precario.
Per le pensioni dei calciatori italiani valgono più o meno le stesse regole previste per i cittadini che svolgono un mestiere che non riguardi il mondo dello sport, specie se dilettanti. Ma quando ci vanno?
Le pensioni degli sportivi sono un argomento del quale si parla poco abituati come siamo agli stipendi che sono stellari. Parlare di pensione per i calciatori sembra spesso fuori luogo dal momento che la carriera viene interrotta prima dei 40 anni.
Forse non molti sanno che i calciatori non vanno automaticamente in pensione quando cessano di battere i campi da calcio, motivo per cui molti devono reinventarsi come allenatori o in altri mestieri attinenti.
Inoltre è necessario porre una distinzione tra il mondo del professionismo, nel calcio come nello sport in generale, e il mondo dilettantestico.
Accade infatti che pur non raggiungendo le cifre stellari dei colleghi di serie A molti calciatori italiani della serie D svolgano quell’attività in maniera esclusiva e per loro quindi si pone il medesimo problema della pensione quando decidono di ritirarsi intorno ai 35 anni. Dopo il ritiro la il 60% dei calciatori è a rischio povertà. Vediamo quando i calciatori italiani vanno in pensione.
Pensioni calciatori italiani professionisti: ecco quando ci vanno
Per le pensioni dei calciatori italiani professionisti valgono più o meno le stesse regole dei cittadini comuni, nel senso che il ritiro non prevede l’assegno pensionistico come diretta conseguenza.
I calciatori infatti vanno in pensione anni dopo il ritiro e questo crea un problema su come reinventarsi specie quando le condizioni fisiche non lo permettono.
Molti giocatori che non riescono magari a lavorare come allenatori, telecronisti o anche opinionisti tv rischiano l’impasse. Anche coloro che non sono riusciti a fare investimenti proficui per il futuro rischiano di ritrovarsi in condizioni di indigenza.
Per i calciatori italiani professionisti (serie A, B e C maschile) è previsto il versamento obbligatorio dei contributi da parte del datore di lavoro nel Fondo pensione sportivi professionisti. Questo fondo abbreviato nella sigla Fpsp è quello ex gestione Enpals che è confluito nell’INPS nel 2011.
Solo per i calciatori italiani professionisti la contribuzione nel fondo è obbligatoria. I calciatori italiani professionisti per i quali vengono obbligatoriamente versati i contributi durante la carriera nel Fpsp da parte dei datori di lavoro, vanno in pensione nelle seguenti modalità:
- i calciatori italiani che hanno versato almeno un anno di contributi entro il 31 dicembre 1995 possono andare in pensione a 54 anni con almeno 20 anni di contribuzione e assicurazione presso il fondo. Questi vanno in pensione con il sistema misto. Ricordiamo infatti che dal 1° gennaio 1996 si è passati dal sistema retributivo al sistema contributivo;
- i calciatori italiani professionisti che hanno versato i contributi a partire dal 1° gennaio 1996, e per i quali quindi si applica solo il contributivo, possono andare in pensione con 20 anni di contributi versati al fondo e almeno 5.200 contributi giornalieri versati.
I calciatori italiani professionisti che abbiano versato il primo contributo al fondo dopo il 1° gennaio 1996 possono andare in pensione con:
- 64 anni di età, 20 di contributi e assicurazione versati al fondo, l’importo della pensione deve essere superiore a 2,8 volte l’importo mensile dell’assegno sociale. Considerando che per il 2020 questo ha un valore pari a 459,83 euro, il trattamento previdenziale maturato dall’interessato non deve essere inferiore ai 1.287,42 euro;
- a 67 anni con 20 di contributi e una pensione che sia superiore all’assegno sociale moltiplicato per 1,5, quindi di 689,74 euro;
- a 70 anni se l’importo dell’assegno è inferiore a 689,74 euro, ma con almeno 5 anni di contributi versati al fondo.
Per tutti i casi che abbiamo finora indicato vale la possibilità di scontare di 5 anni il requisito anagrafico. 5 laddove ogni anno vale per 4 anni di lavoro.
Queste regole valgono solo per alcuni sport che riconoscono il professionismo. Il Fpsp infatti è previsto non solo per i calciatori italiani di serie A, B e C, ma anche per ciclismo, golf e basket (serie A1). Il problema di reinventarsi un mestiere per vivere dignitosamente fino alla pensione, facendo anche sani investimenti, non riguarda solo i calciatori professionisti, ma anche e soprattutto i dilettanti. Vediamo vediamo come funziona per loro la pensione.
Come funzionano le pensioni dei calciatori dilettanti
Le pensioni dei calciatori italiani dilettanti funzionano diversamente dai professionisti. Per loro infatti si pongono due problemi fondamentali: come reinventarsi a fine carriera che arriva intorno ai 35 anni e che spesso porta con sé anche ricadute fisiche, e l’assenza di un fondo come quello previsto per il professionismo.
I calciatori dilettanti infatti non avendo un fondo simile al Fpsp e quindi la contribuzione obbligatoria da parte dei datori di lavoro, devono provvedere ad aprire un fondo integrativo previdenziale privato, nel quale versare i propri contributi.
Per i dilettanti quindi valgono le stesse regole che valgono per i normali cittadini in termini di accesso alla pensione. Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo devono completamente reinventarsi anche perché gli stipendi in campo dilettantistico non sono delle stesse cifre dei calciatori italiani professionisti.
Una svolta da poco è arrivata per le calciatrici italiane della serie A e atlete che, seppur professioniste, non erano considerate come tali al pari dei colleghi maschi.
Con la Legge di Bilancio 2020 è arrivato il riconoscimento dei diritti garantiti al settore maschile.
Sarà prerogativa delle società applicare le nuove misure con i nuovi contratti e per queste è previsto uno sgravio contributivo del 100% per i primi 3 anni. Un incentivo per garantire lo stesso diritto alla pensione e accesso al fondo anche per le calciatrici italiane (e atlete) di serie A.
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