Perché l’Ucraina non si arrende: ecco cosa vuole dalla Russia

Chiara Esposito

06/03/2022

L’esercito russo ha incontrato una resistenza inaspettata da parte del popolo ucraino; il governo di Kiev ha obiettivi ben precisi.

Perché l’Ucraina non si arrende: ecco cosa vuole dalla Russia

L’intelligence del Regno Unito sostiene che i russi siano «sorpresi dalla resistenza ucraina»; non si aspettavano di trovare davanti a loro un esercito di soldati e di civili tanto responsivo.

Nonostante lo spietato attacco inferto in questi giorni alle aree abitate con bombardamenti aerei e terrestri con quelle che Londra definisce «tattiche simili a quelle utilizzate in Cecenia nel 1999 e in Siria nel 2016», ci sono frange di resistenza che riescono a rallentare «il tasso di avanzamento delle forze di terra».

Questo, stando anche ad alcuni video circolati recentemente, avrebbe demoralizzato a tal punto parte delle truppe che, alcuni soldati russi, hanno letteralmente abbandonato i mezzi.

Il tweet della Difesa britannica racconta quindi parte della strategia degli ucraini, ma cosa ha fatto la differenza in questi primi giorni tanto da rendere un esercito così esiguo tanto efficace? Indaghiamo a fondo il segreto del contrattacco ma anche i soprattutto gli obiettivi del popolo e del governo ucraino.

Il presidente Volodymyr Zelenskiy riveste un ruolo centrale in questa dinamica e le sue mire sono evidenti: neutralizzare l’influenza russa entrando nella NATO e nell’Unione Europea.

Cosa motiva i cittadini ucraini?

Zelensky, dall’inizio del conflitto, parla al mondo con voce ferma e sicura dando l’immagine di un leader presente che, neppure dietro invito degli americani, rinuncia ad abbandonare la sua trincea.

Prima di tutto però, questo presidente, che sarebbe più corretto definire un simbolo, un leader della resistenza, parla direttamente agli ucraini e sa mostrarsi vicino e intimamente coinvolto nelle vicende della sua gente per incitarla a resistere, chiamarla a combattere e a non fuggire davanti alla minaccia del nemico così come non ha fatto lui stesso, pur avendone l’occasione.

Come testimoniano i suoi abiti mimetici in ogni apparizione pubblica e i suoi messaggi ben ponderati tutto questo fa parte di una narrazione ideologica e visiva; un’estetica pubblica che dia forza alle città sotto assedio.

«Siamo superpotenza dello spirito, milioni di persone, che sono diventate un tutt’uno» è la sua ultima iconica dichiarazione pronunciata in un discorso agli ucraini domenica 6 marzo. Questo elogio ha un fine: spingere anche i civili non ancora armati a occupare le strade e affrontare i russi.

Questa pratica infatti sta dando i suoi effetti. Il Guardian ha recentemente diffuso alcuni video in cui a parlare sono proprio i soldati russi catturati dall’esercito ucraino ma ci sono anche filmati dove persone comuni, in strada, si avvicinano ai militari per parlare con loro e farsi valere.

Le risposte della controparte in alcuni casi sono sorprendenti:

«Ci hanno ingannato. Tutto ciò che ci è stato detto era un falso. Direi ai miei ragazzi di lasciare il territorio ucraino. Abbiamo famiglie e bambini. Penso che il 90% di noi accetterebbe di tornare a casa».

Nonostante queste parole siano ottenute sotto coercizione potrebbero testimoniare almeno in parte l’altra faccia della medaglia; gli ucraini riescono ad avanzare perché molti soldati russi non sono motivati o in grado di farlo.

L’inesperienza poi gioca un ruolo importante:

«Alcuni soldati pensavano di essere impegnati in esercitazioni militari. Non si aspettavano la resistenza»

A pronunciare queste parole è Artem Mazhulin, un insegnante d’inglese di 31 anni di Kharkiv che aggiunge:

«Molti sono nati nel 2002 o nel 2003. Stiamo parlando di ragazzi di 19 e 20 anni».

Come ricostruito anche da Linkiesta, secondo Alex Kovzhun, già consigliere dell’ex ministro ucraino Yulia Tymoshenko, l’esercito russo può contare su soldati esperti che hanno già combattuto in Siria e nel Donbass, ma è in buona parte formato da «giovani coscritti che sono spaventati a morte».

Sono infatti ben documentate, al di là delle riprese e delle opinioni da parte ucraina, le notizie di convogli russi mal equipaggiati dal punto di vista dei rifornimenti. In quei casi il problema è logistico ma porta all’abbandono dei mezzi e a una disfatta ancor prima dell’attacco.

Perché Ucraina vuole entrare nell’UE e nella NATO

La richiesta formale dell’Ucraina di entrare nell’UE e, ancor prima, nella NATO hanno spaventato Putin, interessato a mettere le mani sulle fortune del territorio per attingervi economicamente e politicamente come nuova linfa vitale.

Il timore dell’annessione che di fatto oggi la Russia sta cercando di portare a termine era ventilato da tempo e anticipato dall’annessione della Crimea nel 2014 e dal riconoscimento dell’indipendenza delle zone del Donbass poco prima dell’invasione del 24 febbraio.

La prospettiva di protezione, ma anche quella di sviluppo, che l’Europa racchiude in sé hanno quindi portato il Paese a chiedere aiuto alla Comunità, atto che oggi viene considerato a tutti gli effetti l’unico modo per svincolarsi dalle violenze così come dalle tante ingerenze che, ben prima delle azioni militari, la politica ucraina subiva da parte di Mosca. Ricordiamo a tal proposito anche gli episodi di Euromaidan.

La stessa situazione ad ogni modo colpisce Georgia e Moldavia, due Stati che condividono la paura di essere i prossimi Stati a finire nel mirino di Putin. Ma che, per il momento, proprio come l’Ucraina, non possono essere accolti dell’UE sia per ragioni di natura puramente giuridica che difensiva.

Cosa sperano di ottenere allora?

Continuando a combattere senza tregua si spera di resistere abbastanza a lungo da generare rovinose conseguenze sull’economia russa; conseguenze che portino la popolazione a insorgere, o meglio, gli oligarchi russi ad abbandonare Putin.

Steve Saideman, esperto di NATO presso la Carleton University sostiene che:

«L’Ucraina perderà a meno che non accada qualcosa nella politica interna russa».

Tra gli studiosi c’è infatti un ampio consenso sul fatto che Putin si piegherebbe solo davanti a una perdita di controllo, un indebolimento del suo potere. La questione della politica interna è quindi il suo unico timore e, se si presentasse una minaccia credibile al suo regime, avrebbe senso pensare a una ritirata.

Il dissenso dell’élite o la protesta popolare di massa, qualora magari avessero dimensioni tali da non poter essere repressi, sarebbero l’incentivo a ridurre le forze in Ucraina. Il rischio che però incarcerazioni e avvelenamenti frenino sul nascere queste iniziative c’è, ed è alto.

Contrariamente a quanto potrebbe sembrare già ora le acque sono agitate e il livello di malcontento tra l’élite russa è piuttosto alto. A darne testimonianza è Alexis Lerner, studioso del dissenso russo presso l’Accademia navale degli Stati Uniti.

Le sanzioni infatti intaccano la potenza economica dei fedelissimi di Putin e minano il loro convincimento rispetto alle azioni del leader. Altro problema è la chiusura dei media indipendenti che potrebbe mobilitare la popolazione stessa.

Per questo motivo la privazione da parte di moltissime aziende dei loro servizi più basilari sul suolo russo è, secondo Saideman, «il modo migliore per cercare di avere un vero impatto sulla politica interna russa».

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