Dal punto di vista tecnico-giuridico, il licenziamento è un atto che può provenire solo da espressa volontà del datore di lavoro. Il dipendente non può domandarlo, e se lo fa commette un illecito.
Più di un lavoratore dipendente potrebbe essersi posto la seguente domanda: posso chiedere al mio capo di essere licenziato? La finalità di questa richiesta non è difficile da scorgere. Per questa via, il lavoratore potrebbe percepire l’indennità di disoccupazione - ossia la cd. NASpI - un sussidio riconosciuto dallo Stato a favore dei soggetti che si trovano in uno stato di disoccupazione del tutto involontario, a compensazione del mancato guadagno in modo proporzionale al reddito da lavoro anteriormente incassato.
L’argomento pratico che andremo ad affrontare nel seguente articolo è proprio questo: il lavoratore può davvero domandare e ottenere il licenziamento al suo datore di lavoro? E se lo fa, ci possono essere delle conseguenze a suo danno? Scopriamolo di seguito.
Richiesta di licenziamento e indennità di disoccupazione: il contesto di riferimento
Abbiamo appena accennato al fatto che l’idea di chiedere il licenziamento non è di per sé assurda, se considerata dal mero lato del lavoratore dipendente. Infatti, questi potrebbe avere interesse a non lavorare più in un certo ufficio, ma soprattutto - in caso di licenziamento - potrebbe contare sul citato assegno dell’Inps, denominato indennità di disoccupazione.
Va qui rimarcato che il sussidio vale soltanto con riferimento ai disoccupati cd. involontari, ossia a quei soggetti che si trovano senza lavoro per motivi non strettamente dipendenti da una loro decisione in tale senso. In linea generale, ci riferiamo dunque ai seguenti casi:
- licenziamento (anche per giusta causa, perché comunque si tratta di un caso di perdita involontaria dell’occupazione);
- dimissioni per giusta causa, vale a dire il recesso da parte del lavoratore prodotto da una grave colpa dell’azienda (come ad es. il mancato versamento della retribuzione).
La Naspi, come accennato, è l’indennità di disoccupazione, prevista dalle norme di legge, per tutte le situazioni di disoccupazione involontaria che si sono registrate a partire dal primo maggio 2015. Per ottenere detto sussidio erogato dall’Inps, occorre possedere una serie di requisiti obbligatori contributivi e lavorativi, oltre che quello legato alla perdita involontaria del lavoro.
Richiesta di licenziamento: quali sono i rischi per il lavoratore?
Fatte le doverose precisazioni di cui sopra, è da rimarcare che, in linea generale, laddove l’atto di licenziamento celi una decisione non dell’azienda ma del lavoratore subordinato, al mero scopo di permettere a questi d’intascare la NASpI, il rischio per il lavoratore dipendente è quello d’incappare in una vera e propria responsabilità penale.
Entra in gioco infatti l’illecito denominato “Indebita percezione di erogazioni statali”, di cui all’art. 316 ter Codice Penale.
Ma è pur vero che addivenire all’accertamento del reato citato può rivelarsi operazione tutt’altro che semplice. Infatti, bisogna considerare che se le parti del contratto e del rapporto di lavoro architettano il licenziamento con dovizia di particolari e motivazioni, sarà ben difficile acclarare la natura simulatoria dell’atto.
Specialmente se vi sono documenti dettagliati dell’azienda che magari attestano eventuali problemi di bilancio, alla base di un licenziamento motivato da ragioni economiche (ma in realtà legato all’iniziativa del lavoratore che ha chiesto di essere licenziato).
Insomma, individuare il lavoratore come il vero artefice del licenziamento è arduo giacché bisogna pur fare i conti con una scelta determinata dalla volontà, la quale si forma interiormente nel singolo soggetto. In altre parole, dare la prova dell’illecito penale potrebbe risultare molto impegnativo, se non addirittura impossibile.
D’altro lato, è vero che il lavoratore che chiede il licenziamento per il citato scopo, corre il pericolo di subire la denuncia del datore di lavoro o azienda. Peraltro, vi è da sottolineare che, in questi casi, è in gioco un illecito penale procedibile d’ufficio: per questo motivo, sarebbe sufficiente una semplice segnalazione alle autorità.
Infatti, in casi come questo, in virtù della cd. perseguibilità d’ufficio, lo Stato - in particolare la Procura della Repubblica - procede nei confronti del responsabile del reato (il lavoratore), indipendentemente dalla volontà della persona offesa e del singolo.
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