Chiariamo le possibili ripercussioni economiche e lavorative in seguito a un licenziamento: ecco cosa rischiano i lavoratori.
Essere licenziati non è certo piacevole, comportando diverse preoccupazioni soprattutto di tipo economico, oltre alla ricerca di una nuova occupazione.
È comprensibile che dopo aver perso l’impiego sorgano dei timori sulle possibili conseguenze da affrontare, alcuni dei quali del tutto fondati. Chi viene licenziato può in effetti trovare qualche ostacolo, ma di tipo molto circoscritto.
Il lavoro è fondamentale per i cittadini, trovando tutela già nella Costituzione, essendo necessario alla crescita personale dell’individuo ma anche della società. Allo stesso tempo, il diritto alla riservatezza impone di proteggere le informazioni personali di ogni cittadino se non quando strettamente necessario e comunque nei limiti previsti dalla legge. Non esiste quindi un registro pubblico dei licenziamenti, né le informazioni sono visibili da tutti. Nel complesso, il lavoratore licenziato è quindi protetto dalla legge, purché agisca correttamente. Diamo risposta ai dubbi più comuni sull’argomento.
Si vede se sono stato licenziato?
Trovare lavoro non è sempre facile, tanto meno una nuova occupazione dopo il licenziamento. Le motivazioni della cessazione del rapporto di lavoro precedente potrebbero infatti influire sull’assunzione dei candidati, che infatti temono di dovere delle spiegazioni al nuovo eventuale datore. In realtà, il nuovo datore di lavoro non dovrebbe avere accesso a questo genere di informazioni. Il licenziamento è un dato personale a tutti gli effetti, perciò protetto dalla normativa sulla privacy.
Ciò non significa che sia segreto, essendoci una serie di soggetti che ne vengono inevitabilmente a conoscenza, tra cui l’ex datore di lavoro, l’Inps e il Centro per l’impiego.
Quest’ultimo non è però autorizzato a condividere la cronologia lavorativa con altri soggetti, tanto meno eventuali nuovi datori di lavoro. Non esiste neanche un vero e proprio obbligo di comunicazione in tal senso, tanto che la Corte di Cassazione disapprova il licenziamento del dipendente che ha omesso i propri pregressi disciplinari. Attenzione, però: non significa che mentire e omettere rappresenti una strada vincente in una nuova assunzione, tutt’altro.
Il contratto di lavoro richiede infatti di agire con buona fede e trasparenza, includendo inevitabilmente la comunicazione di elementi potenzialmente rilevanti per l’impiego o l’assunzione.
Il licenziamento, con annesse motivazioni, deve essere reso noto al nuovo datore di lavoro quando necessario. Altrimenti, si potrebbe subire comunque un licenziamento disciplinare, ma soltanto se l’omessa comunicazione dei propri pregressi ha portato a un’assunzione che altrimenti non si sarebbe verificata, circostanza che il datore di lavoro deve dimostrare.
Il nuovo datore non può però vedere personalmente il licenziamento e la motivazione, per quanto nella quotidianità il passaggio di informazioni sia assicurato da un passaparola ai limiti della legalità. L’ex datore di lavoro non dovrebbe comunque fornire informazioni specifiche, a meno che ci sia il consenso dell’ex dipendente.
Spetta il Tfr in caso di licenziamento?
Molti lavoratori temono di perdere il Trattamento di fine rapporto in seguito al licenziamento, soprattutto se quest’ultimo avviene per motivi disciplinari.
In realtà, il Tfr è un diritto del lavoratore subordinato, che non può essere in ogni caso compromesso. Quindi anche in seguito a un licenziamento per giusta causa, ad esempio, si deve percepire il Tfr nell’ultima busta paga.
Tuttavia, quando il dipendente è accusato di aver arrecato dei danni all’azienda, spesso i datori di lavoro optano per trattenere in automatico le somme dovute, riducendo il Tfr. Si tratta però di una prassi del tutto scorretta, a meno che vi sia un diverso accordo tra le parti. Il Tfr deve sempre essere erogato e l’eventuale pretesa risarcitoria deve essere perseguita in sede legale, per lo più perché il risarcimento deve essere appurato e calcolato secondo la legge.
È invece ammessa, come confermato dalla Cassazione, la compensazione tra il Tfr e gli altri crediti da lavoro con eventuali debiti del lavoratore di importo certo, per esempio l’indennità sostitutiva di mancato preavviso in caso di dimissioni oppure la penale contrattuale in caso di licenziamento disciplinare. In tutti gli altri casi, spetta il Tfr in misura piena e non può essere deliberatamente ridotto.
Posso prendere la Naspi?
Veniamo ora a un’altra preoccupazione per i cittadini che hanno perso il lavoro, comune soprattutto a chi è stato licenziato per giusta causa o giustificato motivo soggettivo: l’indennità di disoccupazione. La colpa del licenziamento non impedisce di percepire la Naspi, che spetta a tutti coloro che hanno perso il lavoro involontariamente, cioè senza recedere dal contratto in modo calcolato e voluto (fatta eccezione per alcune tipologie di dimissioni).
La Naspi viene negata soltanto in caso di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro e a seguito di dimissioni (eccetto che per la giusta causa), poggiando sul presupposto che il dipendente non mira al licenziamento con la propria condotta, né sussiste un nesso causale così granitico.
In tal proposito, bisogna però fare molta attenzione alle assenze ingiustificate dal lavoro, che con le nuove regole sulle dimissioni per fatti concludenti non possono più essere usate come stratagemmi per ottenere il licenziamento. In quest’ultimo caso, infatti, non si ha diritto alla Naspi.
Mi spetta il preavviso?
Nella risoluzione del rapporto di lavoro entrambe le parti hanno diritto a un termine di preavviso congruo alla tutela dei propri interessi. Questo periodo, individuato dalla contrattazione collettiva e individuale, può essere ignorato corrispondendo l’indennità sostitutiva.
Il preavviso non è dovuto quando si opera un licenziamento per giusta causa (come nemmeno per il mancato rinnovo del contratto a tempo determinato) e può comunque essere evitato semplicemente pagando l’indennità sostitutiva.
Mi spetta l’ultimo stipendio?
Il licenziamento, indipendente dalla motivazione, non comporta alcuna conseguenza per la retribuzione maturata dal lavoratore.
Proprio come detto per il Tfr, questo credito può essere compensato in presenza di un debito certo ed esigibile, ma non può essere trattenuto dal datore di lavoro impropriamente.
La violazione disciplinare, che può dar luogo a un licenziamento per giusta causa, non autorizza infatti a ledere il diritto del dipendente alla retribuzione maturata per il proprio lavoro. Lo stipendio deve quindi essere sempre pagato, ovviamente fino al periodo interessato dal contratto di lavoro.
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