La sostenibilità conviene anche dal punto di vista economico, per l’Italia e per il resto del mondo.
Per la prima volta nella storia del Global Risks Report, le preoccupazioni ambientali e climatiche dominano la classifica dei rischi globali: i primi cinque rischi a lungo termine in fatto di probabilità sono infatti tutti legati all’ambiente, come tre dei cinque rischi principali in termini di impatto.
La quindicesima edizione del report, pubblicata dal World Economic Forum alla vigilia del Forum di Davos, basato sul sondaggio condotto tra oltre 750 esperti e decision-maker dei vari settori dell’economia globale sulla percezione (della probabilità e dell’impatto) dei rischi a livello internazionale, sembra andare incontro alla tendenza ormai diventata predominante nel sentire comune di sottolineare come le tematiche ambientali e gli effetti dell’inquinamento dell’uomo sulla terra siano diventati di primaria importanza.
Secondo il rapporto, infatti, in cima alla classifica dei rischi globali ci sono:
- eventi meteorologici estremi;
- perdita di biodiversità;
- fallimento nella mitigazione e nell’adattamento ai cambiamenti climatici;
- catastrofi naturali;
- danni ambientali causati dall’uomo.
Danni ambientali e impatto economico
D’altra parte se anche il CEO di BlackRock ha avvertito nella sua lettera agli investitori le imprese sul rischio che incorrono se non investono in sostenibilità, vuol dire che il problema comincia ad avere grande rilevanza anche dal punto di vista economico. Antonio Cianciullo in un interessante libro, “Un pianeta ad aria condizionata” edito da Aboca, sottolinea come i danni causati dall’inquinamento siano sempre più rilevanti anche dal punto di vista economico.
Basti pensare che solo i danni causati dagli eventi climatici estremi sono passati da 3,9 miliardi di dollari all’anno negli anni cinquanta a 40 miliardi nel 1999, per arrivare alla astronomica cifra di 300 miliardi nel 2017.
Secondo il nuovo rapporto “EconomicLosses, Poverty and Disasters 1998-2017” dell’United Nations Office for Disaster Risk Reduction (Unisdr) e del Centre for Research on the Epidemiology of Disasters (Cred), negli ultimi vent’anni, dal 1998 al 2017, le perdite economiche mondiali causate da eventi atmosferici estremi, generati dal cambiamento climatico, sono state pari a 2.245 miliardi, con un aumento del 151% rispetto ai vent’anni precedenti, dal 1978 al 1997, quanto le perdite complessive erano state 895 miliardi.
Il numero dei disastri legati ad eventi meteo-climatici rispetto al ventennio 1978-1997 è raddoppiato: da 165 a 329 ogni anno.
L’Italia è tra i Paesi più colpiti
L’Italia è fra i Paesi più colpiti dagli eventi atmosferici estremi, al settimo posto al mondo per i danni subiti, dopo Stati Uniti, Cina, Giappone, India, Porto Rico e Germania e prima di Thailandia, Francia e Messico.
D’altra parte il nostro paese da sempre si scontra con una lentezza nel mettere in campo interventi per limitare i danni provocati dal dissesto idrogeologico, come il caso di Genova e della Liguria dimostrano ampiamente.
Secondo i recenti dati Ispra (Istiututo supoeriore per la protezione e la ricerca ambientale) l’Italia dal 1998 al 2018 ha speso, infatti, circa 5,6 miliardi di euro (300 milioni all’anno) in progettazione e realizzazione di opere di prevenzione del rischio idrogeologico, a fronte di circa 20 miliardi di euro spesi per «riparare» i danni del dissesto secondo dati del Cnr e della Protezione civile.
La spinta economica data dalla sostenibilità
Ecco allora che di fronte a questi drammatici dati anche dal punto di vista economico, come dice Cianciullo nel suo libro, occorre una “transazione ecologica che sia anche solidale”. Questo perché il nostro paese, che in alcuni settori virtuosi, come quello dell’economia circolare per esempio, occupa i primi posti in classifica, deve scontrarsi con una burocrazia che sembra voler complicare la vita alle aziende virtuose.
E anche il governo ci mette del suo, come nel caso della recente tassa sulla plastica, che dimostra come non si pensi a una politica ambientale volta a favorire anche le aziende, promuovendo così quello sviluppo di serie politiche per l’ambiente che potrebbero dare una vigorosa spinta all’economia.
La fondazione per lo sviluppo sostenibile in un report dell’aprile dello scorso anno ha calcolato che realizzando le misure proposte nel rapporto per raggiungere 5 obiettivi green si attiverebbero circa 190 miliardi di investimenti con circa 682 miliardi di aumento della produzione e 242 miliardi di valore aggiunto, creando circa 800.000 nuovi posti di lavoro al 2025.
Il recente Green deal europeo vorrebbe andare in questa direzione ma i distinguo già operati sull’eventuale non conteggio a livello di deficit degli investimenti green, rischiano di porre un forte freno all’intervento dello Stato, lasciando gran parte dei costi delle riconversione green in mano alle aziende, già duramente colpite dalla crisi economica. Perché cosi facendo si rischia appunto di creare tensioni su un tema che invece dovrebbe essere affrontato anche dal punto dei suoi riflessi dal punto di vista economico.
Esempio virtuoso è rappresentato in Italia dalle circa 400 aziende benefit, che pongono fra i punti determinanti del loro status sociale proprio quello di perseguire il profitto attraverso la sostenibilità dei processi e della vita aziendale. Ma anche su questo punto la legislazione italiana pare in ritardo nell’agevolare e normare queste tipologie di aziende.
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