A un mese dal voto, il partito della Merkel perde il primato. E ora tasso di crescita e guai dell’industria con la crisi dei chip fanno temere una svolta rigorista sulla Bce. Da «rivendere» in patria
Non guardiamo ai sondaggi tutti i giorni. Specialmente oggi. Angela Merkel ha tagliato corto, dissimulando la delusione con il richiamo al G7 e al tema afghano ma il colpo è stato duro. Quasi da ko. Stando all’ultimo sondaggio Forsa, infatti, per la prima volta da 15 anni a questa parte la Spd è in vantaggio nelle rilevazioni: 23% contro il 22% della Cdu e il 18% dei Verdi. Questi grafici
Fonte: Forsa
Fonte: The Economist
mettono la questione in prospettiva, soprattutto il secondo. Il quale mostra come - stando la situazione attuale - i due sbocchi istituzionali dopo il voto del 26 settembre appaiono decisamente antitetici rispetto al ruolo di pivot della coalizione: restano infatti fissi gli alleati, Verdi e Liberali, cambiano i «gestori del banco». Coalizione Giamaica in caso di accordo con la Cdu oppure Semaforo se sarà la Spd a dare le carte.
Ora la battaglia entra davvero nel vivo. A un mese quasi esatto dall’appuntamento con le urne, la Cdu ha bruciato tutto il vantaggio che il mezzo suicidio politico dei Verdi le aveva garantito da giugno in poi. E la Spd, silenziosa, ha rubato punto su punto, capitalizzando al massimo la clamorosa figuraccia del candidato cancelliere Cdu, Armin Laschet, durante i giorni tremendi dell’alluvione. Cosa cambierà, quantomeno a livello di politica europea? Se infatti le dispute interne interessano fino a un certo punto, ora c’è il forte rischio che i cristiano-democratici giochino la carta Weimar per spaventare l’elettorato, prospettando un governo a guida Spd che da un lato garantisca mano libera all’Ue per la trasformazione del Recovery Plan nel prodromo degli eurobond e dall’altro archivi - una volta per sempre - la politica di indebitamento zero a livello nazionale.
Nemmeno a dirlo, in caso la strategia fosse questa, la parte del leone - pur continuando a millantare indipendenza - toccherebbe a Jens Weidmann, ben felice di alzare il tiro della sua opposizione in seno al board Bce, già palesatasi in luglio con il no al cambio di policy su tassi e inflazione. Dal canto suo, la Spd non può esagerare con l’appeasement verso Bruxelles e tenere conto che il suo candidato alla cancelleria, Olaf Scholz, è anche e soprattutto l’attuale ministro delle Finanze. Di fatto, l’erede di Wolfgang Schaeuble. Eccedere con l’europeismo, quindi, potrebbe risultare fatale proprio ora, dopo settimane di inseguimento culminate nell’insperato sorpasso.
E se questo grafico
Fonte: Pictet/Bce
mostra come la Bce abbia proseguito imperterrita anche durante le settimane estive con la sua ninna nanna tranquillizzante verso i premi di rischio dell’ex Club Med, a far riflettere sono questo grafico
Fonte: Bloomberg
e le parole proprio di Jens Weidmann nel presentare ieri le previsioni sul Pil. Di fatto, il rimbalzo dell’economia teutonica è stato più debole e contenuto del previsto e dopo un dato deludente del primo trimestre, ora anche le prospettive per l’intero 2021 appaiono al ribasso. Per la Buba in qualche modo più basse del 3,7% pronosticato solo a giugno, mentre per il consensus di Bloomberg addirittura già oggi al 3,3%.
Inoltre, Jens Weidmann ha messo in guardia dal combinato di freno sull’economia per i prossimi due trimestri rappresentato da variante Delta e inflazione, quest’ultima già oggi in grado di impattare in maniera più forte del previsto sulle dinamiche interne. Ma non basta. Se proprio oggi Toyota ha reso noto tramite l’agenzia Nikkei che aumenterà il prezzo a cui vende le componenti in acciaio ai suoi fornitori di 20.000 yen (182 dollari per tonnellata, l’aumento massimo mai apportato da dieci anni a questa parte, in un’intervista con Cnbc, il numero uno di Bosch, Harald Kroeger, ha di fatto recitato un de profundis delle catene di fornitura globali per il comparto automotive, ritenute ormai incapaci di soddisfare una domanda che va dalle autovetture alle Playstation fino agli spazzolini elettrici.
Non a caso, da settembre sarà pienamente operativa la fabbrica di semiconduttori che Bosch ha creato a Dresda, investendo 1 miliardo di euro e lo stesso presidente tedesco, Frank-Walter Steinmeier, in visita allo stabilimento ha definito il progetto di vitale importanza in un momento cruciale, ancorché Germania ed Europa sia ancora ben distanti dal raggiungere una propria indipendenza in questo settore strategico. E questo ultimo grafico
Fonte: Bloomberg
sembra candidarsi al proverbiale ruolo di chiodo nella bara, poiché mostra come il Baltic Dry Index abbia appena raggiunto quota 4.000 per la prima volta da 11 anni a questa parte. E se da un lato la riapertura del porto di Ningbo dopo due settimane di chiusura di un terminal chiave potrebbe offrire un minimo di speranza, contemporaneamente un vasto focolaio di variante Delta ha colpito la Malaysia, dove i casi di contagio sono saliti a 20.000 la settimana contro i meno di 5.000 di giugno.
Nemmeno a dirlo, i timori sono focalizzati sull’operatività di produttori di microchip come Infineon Technologies AG, NXP Semiconductors NV e STMicroelectronics NV che hanno i propri impianti nel Paese. Insomma, i rischi per un hard landing del Pil tedesco rispetto alle aspettative rosee solo di primavera, ci sono tutti. E peseranno come macigni sull’ultimo mese di campagna elettorale. Ma, forse, anche sul prossimo board della Bce, previsto per il 9 settembre. In quel caso, il voto tedesco diverrà di colpo un test per tutta l’Europa. Italia con il suo spread, in testa.
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