L’Europa è divisa e rischia di non trovare soluzioni comunitarie alla crisi energetica e pandemica. La risposta dei singoli Paesi è una corsa in autonomia alla ricerca di gas.
Il dramma dell’Europa è la sua stessa storia. Le crisi recenti, quelle che non hanno lasciato riprendere il fiato a cittadini, governi e mercati, hanno ridisegnato l’immagine europea come un gruppo di Stati ancora profondamente divisi. La gestione comune di pandemia e guerra in Ucraina è rimasta su carta come un bel progetto, ma nella realtà ogni Paese corre da solo per salvarsi.
Non è difficile trovare anti-europeisti convinti che questi due anni abbiamo dato la prova del fallimento europeo. Un sentimento comune, in larga parte, negli ambienti nazionalisti e che vedono nell’autosufficienza energica e alimentare di ogni Paese la soluzione alla deriva del fenomeno della globalizzazione.
In Europa c’è chi risponde da solo alla crisi energetica in solitaria, come la Germania che ha bloccato tre delle sei navi di rigassificazione disponibili sul mercato mondiale e rema contro, insieme all’Olanda, al progetto di fissare un tetto massimo ai prezzi del gas. La soluzione comune è messa ancora una volta da parte e gli ostacoli a una vera unione si moltiplicano.
L’Unione europea divisa al di là della narrazione di comunità
Il progetto europeo non riesce a competere con le gigantesche economie mondiali. Da un lato gli Stati Uniti, dall’altro Russia e Cina. L’Europa è un granello di sabbia che cerca di farsi montagna e l’occasione giusta sembrava essere proprio la guerra in Ucraina. Dall’inizio del conflitto i portavoce europei hanno parlato di “tentativo fallito di divisione di Putin”, con l’Ucraina che invece di allontanarsi si sta facendo sempre più vicina all’Europa.
Lo ha ribadito la neo-presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola, intervistata da Avvenire: “Putin ha cercato di dividere l’Europa, e ha fallito”. Siamo tutti, dice ancora Metsola, dalla stessa parte, cioè dalla parte dell’Ucraina e “questa invasione [...] rafforzerà il ruolo dell’Unione Europea a livello globale a lungo termine”.
Su carta l’Unione si presenta unita, ma è nella gestione delle conseguenze del conflitto che sta facendo maggior fatica. Non è una novità: l’Europa ha sempre sofferto di protagonismo nazionale. Difetto che, nel lungo periodo, non permette a progetti o soluzioni comuni di essere portati a termine.
L’Unione europea e il fallimento comune su gas e pandemia
Smontata l’idea che siamo più forti delle minacce di Putin rimane poco della gestione comune delle crisi. La pandemia ha messo a dura prova il sistema della comunità, che avrebbe voluto rispondere unita, ma che all’inizio della crisi sanitaria ha visto ogni Paese correre ai ripari con la competizione nell’acquisto di respiratori.
Uno scenario simile alla crisi energetica. Oggi la divisione più sostanziale vede la Germania e l’Olanda mettersi di traverso rispetto al progetto del tetto massimo del prezzo del gas. Così la Germania si è subito mobilitata per bloccare tre delle sei navi di rigassificazione disponibili sul mercato per intercettare il gas liquefatto in arrivo da Stati Uniti e Qatar.
L’Italia guarda ai vicini del Sud, dove ha un vantaggio: si è mossa in anticipo e con Eni ha la concessione dei giacimenti di Algeria, Egitto, Congo, Angola e Mozambico. E l’Europa non può che rimanere a guardare. I progetti di autosufficienza energetica, previsti dal Pnrr, non sono attuabili in tempi brevi e nel frattempo la soluzione è spostarsi alla ricerca dell’offerta migliore.
Il fallimento europeo è il fallimento dei progetti globali
Sono in molti a credere che l’Europa abbia fallito, in particolare con le conseguenze delle sanzioni alla Russia. L’eurodeputata Francesca Donato (ex Lega) ha dichiarato che le sanzioni “non fermeranno i combattimenti, ma rischiano di danneggiare in modo grave l’economia dei Paesi Ue”.
Bisogna ammettere una verità scomoda: nessuna guerra è senza conseguenza. Si poteva scegliere di combatterla faccia a faccia o, come in questo caso, attraverso le sanzioni; in ogni caso non si poteva sperare di non rimanere coinvolti. Centinaia di migliaia sono scesi nelle piazze di tutta Europa per dire “no alla guerra in Ucraina”, chi più e chi meno consapevole che una presa di posizione ha sempre un costo.
Nel caso di una guerra globale, come appare quella in Ucraina - visto l’effetto che sta avendo il blocco di import ed export di gas, grano e altri beni tra i Paesi coinvolti - manifestare per la pace vuol dire accettare e sostenere le conseguenze di questa. Come Europa avremmo potuto voltare la testa dall’altra parte, dopotutto l’Ucraina non è membro dell’Ue e continuare per la nostra strada, con il gas russo come merce di scambio per il nostro silenzio. Così non è stato e paghiamo le conseguenze della scelta di evitare l’escalation nucleare.
Oltre il conflitto: cosa sarà l’Europa
La globalizzazione non è fallita. A fallire è stato, piuttosto, il sistema commerciale globale quando si è scontrato con la guerra. La dipendenza da Paesi extra europei è stato un grave errore di gestione, perché ha permesso alla Russia, per esempio, di avere il coltello dalla parte del manico.
L’autosufficienza energetica e alimentare è un obiettivo comune e che l’Europa porta avanti con difficoltà tra evoluzione green e dipendenza energetica. Serve un piano comune, ma soprattutto una strada nuova da percorrere, affinché l’Europa non sia più solo un gruppo di Stati che commerciano, ma anche un progetto politico e culturale veramente unitario.
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