Vaccino Johnson&Johnson: ipotesi seconda dose, ecco perché

Chiara Esposito

26 Agosto 2021 - 22:35

Sebbene sia pensato per essere monodose, il vaccino Johnson&Johnson potrebbe prevedere un richiamo a otto mesi dalla prima somministrazione. Come mai?

Vaccino Johnson&Johnson: ipotesi seconda dose, ecco perché

Nessuna ufficialità ma tutto lascia ben sperare, gli studi procedono e le prime richieste di autorizzazione sono state avanzate: la casa farmaceutica Johnson&Johnson vorrebbe implementare l’efficacia del proprio vaccino con una seconda dose.

La notizia viene diffusa in queste ore proprio da un portavoce del colosso americano per celebrare i risultati che per ora sta fornendo questa fase di sperimentazione sui benefici di un eventuale richiamo per gli immunizzati; si pensa ad una somministrazione a distanza di otto mesi della prima inoculazione per potenziare il numero di anticorpi.

Ovviamente l’iter di approvazione di questa misura è ancora lungo, ma analizziamo l’evoluzione e i passaggi obbligati di questo studio.

I primi risultati dei trial clinici

La volontà di potenziare il numero di anticorpi presenti nei soggetti immunizzati c’era da tempo e le dichiarazioni che i responsabili di Johnson&Johnson stanno rilasciando in queste ultime settimane di agosto sono solo la punta dell’iceberg che da tempo solca i mari dei laboratori della casa farmaceutica statunitense.

Negli Stati Uniti e in Europa sono ben 2.000 le persone che si sono sottoposte ai trial clinici per analizzare le risposte immunitarie di una eventuale seconda dose. I partecipanti sono sotto osservazione costante ma i dati raccolti finora non mentono: è stato registrato un aumento degli anticorpi di 9 volte rispetto ai 28 giorni dopo la prima dose.

I partecipanti, sottolinea la stessa azienda in una nota, attraversano ora la fase 2 dello studio. La loro età è compresa tra i 18 e i 55 anni mentre per chiunque si sia offerto volontario ma rientra nella fascia di età pari pari o superiore a 65 anni la dose di richiamo è stato ridotta e si stanno analizzando ancora le risposte specifiche di questo target.

Le prime indiscrezioni sull’andamento del test erano state divulgate già a luglio tramite i dati ad interim della Fase 1/2a sulla rivista New England Journal of Medicine, ma riguardavano prevalentemente la durata degli anticorpi che, per l’appunto, si attesta attorno a otto mesi dopo l’immunizzazione.

Solo a quel punto l’azienda avrebbe iniziato a prevedere una potenziale necessità di richiami e, correndo ai ripari anche in vista di nuove ondate e nuove varianti, ha condotto uno studio di Fase 2 su individui che avevano in precedenza ricevuto il vaccino.

I riassunti dello studio così delineato sono stati poi presentati a MedRxiv e resi pubblici il 24 agosto.

Chi riceverebbe la seconda dose di Johnson&Johnson?

L’indagine medica condotta da Johnson & Johnson si limita per il momento a pazienti che precedentemente allo studio avevano ricevuto lo stesso vaccino. Se non verranno ampliate, quindi, le fila delle analisi, la possibilità di una dose aggiuntiva non sarà estesa ad altri cittadini già vaccinati contro il Covid-19.

La precisazione arriva da Mathai Mammen, M.D., Ph.D., Global Head, Janssen Research & Development di Johnson & Johnson.

Chi deve dare l’ok per la somministrazione?

Così come nel caso della prima approvazione dei vaccini, qualsiasi cambiamento nella linea produttiva e distributiva delle dosi deve passare al vaglio degli enti nazionali e internazionali che disciplinano l’uso dei farmaci nei vari paesi.

La visione della casa farmaceutica è però fortemente ottimista:

Non vediamo l’ora di confrontarci con i funzionari della salute pubblica per discutere di una potenziale strategia.

Johnson&Johnson è infatti in contatto con la Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti e il suo omologo europeo, l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA).

Anche altre autorità sanitarie sono state interpellate e tra di esse troviamo sicuramente il CDC (Centers for Disease Control and Prevention), un’agenzia federale americana con sede in Georgia (Atlanta) che da tempo è dalla parte del Dipartimento della salute e dei servizi umani degli States.

C’è da dire anche che gli studi sono stati finanziati in parte con fondi federali.

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