Il Dipartimento della sanità pubblica del Kentucky ha riscontrato una nuova variante del Sars-Cov-2. Cosa sappiamo della variante R.1?
La pandemia da coronavirus non finisce di sorprendere il mondo intero. Dopo la variante Delta ne appare un’altra che viene direttamente dal Paese del Sol Levante. Stiamo parlando della variante R.1 del Sars-Cov-2, che dal Giappone agli Stati Uniti ha già contagiato circa 10.000 persone.
La scoperta di una nuova variante ovviamente preoccupa, specialmente perché si guarda alla possibilità che questa possa essere maggiormente resistente ai vaccini.
Vediamo, a tal proposito, cosa sappiamo della variante R.1 e dove, al momento, questa risulta essere più diffusa.
variante Covid R.1: i primi casi
Le prime tracce della c.d. variante R.1 sono state riscontrate in Kentucky, Stato federato nel Sud-Est degli Stati Uniti. Il focolaio sembra essere partito in una casa di cura, i contagi riguardano una cinquantina di persone tra pazienti e personale sanitario.
Dopo un’indagine, il Dipartimento della sanità pubblica del Kentucky ha rintracciato la sua diffusione nella casa di cura, datata intorno marzo 2021, dove un membro del personale sanitario, non vaccinato, ha veicolato la nuova variante facendo esplodere l’epidemia. Il personale sanitario ei pazienti del centro risultano tutti vaccinati ma, a detta delle autorità, la variante ha aggirato gli anticorpi sviluppati dai contagiati facendo breccia nel sistema immunitario.
Cosa sappiamo della variante R.1
La nuova variante del Coronavirus sembra provenire dal Giappone. Essa presenta cinque mutazioni già rinvenute su altre varianti, ma anche alcune che sembrano uniche. A far luce sulla R.1 è un articolo uscito sulla rivista Forbes firmato da William A. Haseltine, già professore della Harvard Medical School.
“Ha una serie di mutazioni uniche che possono conferire un ulteriore vantaggio nella trasmissione, replicazione e soppressione immunitaria”, afferma Haseltine, continua dicendo che essa è caratterizzata da “una maggiore resistenza agli anticorpi”. Sempre a detta del Professore di Harvard, questa mutazione riguarda la c.d. proteina Spike, il suo nome è E484K. Secondo l’articolo, essa “è presente nelle varianti Beta, Gamma, Eta, Iota e Mu di Covid-19”.
Gli studi effettuati dai Centri di controllo e prevenzione delle malattie infettive avevano già individuato la variante ad aprile 2021: varie analisi hanno precisato che essa però fosse già presente da marzo. Sembra esserci una buona notizia, ossia che la variante R.1 ancora non è stata inserita nell’elenco di quelle che destano preoccupazioni, a differenza della cugina Delta.
La motivazione per il quale la variante non è considerata preoccupante è un ulteriore studio del Cdc, che ha affermato che i residenti del Kentucky vaccinati avrebbero l’87% in meno di probabilità di avere casi sintomatici di Covid a causa della variante rispetto ai non vaccinati. L’epidemia, difatti, è scoppiata in una casa di cura dove i pazienti sono perlopiù anziani e il personale sanitario è a stretto contatto con essi.
Quanti sono i contagi da R.1 rispetto alle altre?
Secondo il database Sars-Cov-2 Gisaid, strumento che consente di monitorare l’andamento del virus nel mondo, i contagiati dalla variante R.1 risultano essere intorno alle 10.000 unità in tutto il globo. Sembra quindi non preoccupare gli esperti vista l’incidenza delle altre varianti, come la Delta sui contagi totali nel pianeta.
Infatti, da quanto riporta l’Organizzazione mondiale della Sanità, la variante Delta del coronavirus, è stata segnalata per la prima volta in India. Essa è stata registrata in 185 Paesi, territori o aree del pianeta ed è presente in tutte e sei le regioni Oms. Nell’ultimo bollettino settimanale pubblicato dall’Organizzazione il 21 Settembre, a livello globale - la variante Alfa (o “inglese”) - risulta essere presente in 193 Paesi, dato stabile rispetto alle ultime 2 settimane. Invece, 142 Paesi hanno segnalato casi di variante Beta e 96 di variante Gamma (o “brasiliana”).
Rispetto ai numeri delle altre varianti, sembra che l’incidenza della R.1, o variante giapponese, non sembri destare troppe preoccupazioni alla comunità scientifica.
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