Il Surprise Index di Citi relativo ai prezzi è esploso, così come i costi alla produzione cinesi giunti al massimo dal 1995. Ma a far paura è l’indice Fao sul cibo. E quello proxy dei fertilizzanti
Con vivo stupore, stamattina ha dovuto prendere atto che la principale preoccupazione dei milanesi era come raggiungere scuole e lavoro, stante lo sciopero dei mezzi pubblici e non il fascismo all’orizzonte e la conseguente emergenza democratica. I soliti pragmatici polentoni.
C’è però un qualcosa di estremamente sinistro nel clima che pervade il Paese da sabato scorso, quando di colpo l’orologio della priorità nazionale ha fatto un balzo all’indietro di circa 75 anni: se davvero si teme il ritorno del fascismo, come non accorgersi della strisciante e latente riproposizione dello schema iper-inflattivo in atto? Insomma, in punta di storia, fu l’iper-inflazione a spalancare le porte al Terzo Reich e a crearne le condizioni di consenso plebiscitario, certamente non solo i discorsi allucinati di Adolf Hitler di fronte a un centinaio di ubriaconi a Monaco. Ma si sa, l’inflazione è transitoria.
Quindi, probabilmente ricade in questa categoria temporale anche il conseguente rischio di deriva autoritaria. Quantomeno, continuano a pensarla così alla Bce. Perché la stessa Fed che per mesi ha contrabbandato al mondo quella narrativa, ora l’ha cambiata drasticamente: Jerome Powell ha definito l’attuale dinamica dei prezzi frustrante e, di fatto, lo stesso board della Banca centrale Usa - quello rimasto in carica, quantomeno, stante le dimissioni di massa per insider trading - ha dovuto ammettere come certi trend siano destinati a perdurare per almeno i primi due trimestri del 2022. Una transitorietà bella sostenuta.
Non c’è da stupirsi, comunque. Ammettere che l’inflazione stia rapidamente andando fuori controllo significa dover gridare al mondo che il Re è nudo: ovvero che il Qe globale e strutturale nella sua ultima versione - quella pandemica e drammaticamente alluvionale, non fosse altro per il combinato con i deficit governativi associati - non solo è servito unicamente a far brindare la Borse ma che ha portato come conseguenza diretta un aumento dei prezzi che presto andrà a operare matching con un calo del potere d’acquisto legato proprio alla fine dei programmi di sostegno. Praticamente, le Banche centrali hanno creato la tempesta perfetta.
E qui la questione si fa seria. Ma seria davvero, come mostrano questi primi due grafici:
l’ultimo Surprise Index di Citigroup si staglia all’orizzonte come una sentenza di Cassazione. Non solo a livello globale l’inflazione è ormai off-the-charts rispetto alle serie storiche ma la prospettiva di stagflazione appare ormai qualcosa di ben più realistico di un ipotetico worst case scenario. E quell’epilogo, se dovesse concretizzarsi, sarebbe mortale: perché con i prezzi fuori controllo, nessun banchiere centrale in possesso del minimo sindacale di facoltà mentali si azzarderebbe a manovre espansive per stimolare la crescita divenuta stagnante, nonostante il diluvio di trilioni dell’ultimo anno e mezzo. Tradotto, recessione alla velocità della luce. E senza armi di difesa efficaci e immediate, stante i tassi già a zero.
E questo altro grafico
mette in evidenza una criticità ulteriore: mentre ancora qualcuno gioca la carta della distrazione di massa con il non caso rappresentato da Evergrande, ecco che i prezzi alla produzione in Cina - la fabbrica del mondo, il motore su cui si basano le speranze di un colpo di reni che annulli il rallentamento in atto in Usa e Ue - sono appena saliti al massimo dal 1995. Difficile, a questo punto, che Pechino possa dare vita a uno stimolo tout court che riattivi in maniera possente l’impulso creditizio globale. Più facile che si operi chirurgicamente con tagli dei requisiti di riserva e iniezioni mirate nei settori più a rischio. Tradotto, ognuno salvi se stesso.
Bel guaio. Soprattutto, alla luce di questi due ultimi grafici:
mentre in Italia si mette mano al bagaglio resistenziale e in attesa del fall-out da introduzione del green pass per 3,5 milioni di lavoratori alla deriva, l’indice Fao relativo ai prezzi delle commodities alimentari ha appena toccato il massimo da dieci anni. Ma cosa ancora più seria, quantomeno in prospettiva e come pietra tombale sulla narrativa della transitorietà dell’inflazione, l’indice che traccia il prezzo dei fertilizzanti ha appena toccato il suo massimo storico. Tradotto, costi maggiori per i produttori di cibo.
Quindi, a cascata, maggiori aggravi sul potere d’acquisto dei cittadini. Gli stessi che, ad esempio, da venerdì potrebbero vedere a rischio lo stipendio, essendo sprovvisti di green pass. O, magari, avendo il problema di lavorare per una delle 70 aziende coinvolte in tavoli di crisi aperti al ministero del Lavoro. Insomma, chi davvero teme il fascismo, dovrebbe ripassare la storia. E capire che il nemico vero della stabilità sociale e della tenuta democratica oggi si chiama inflazione. Altrimenti, si cerchi pure la comoda strada del capro espiatorio in trenta teppisti da stadio travestiti da squadraccia littoria. Poi, però, non ci si lamenti delle conseguenze. Reali e non frutto di paranoie interessate e ossessioni ideologiche.
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