L’approvazione delle norme fiscali per il terzo settore completa la riforma iniziata 5 anni fa: un percorso che per Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum nazionale terzo settore, deve proseguire.
Con il decreto Semplificazioni è stato approvata anche la nuova normativa fiscale per il terzo settore, misure che erano attese da tempo e concludono la riforma iniziata da ormai cinque anni. Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum nazionale terzo settore, spiega in un’intervista a Money.it perché questa normativa è così importante e perché si tratta di una “base imprescindibile” per continuare a svolgere l’attività di “collante sociale e leva economica del Paese”.
Ora, però, si è aperta la campagna elettorale e il rischio è che ci si dimentichi delle priorità come la lotta alla povertà e alle disuguaglianze, sottolinea Pallucchi. Anche perché spesso le realtà sociali vengono dimenticate dalla politica, se non nel momento del bisogno, “quando lo Stato non riesce a offrire adeguati servizi alla popolazione”.
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Con il dl Semplificazioni si completa la riforma del Terzo settore: in cosa consiste a grandi linee?
Il dl Semplificazioni contiene misure fiscali per il Terzo settore assolutamente necessarie per consentire ai vari enti di adeguarsi alle novità della riforma iniziata ormai 5 anni fa, e di operare all’interno di un quadro normativo chiaro, definito e non penalizzante. Senza queste norme molte realtà sociali, soprattutto le più piccole, non avrebbero avuto un quadro certo del loro trattamento fiscale dissuadendole dall’assumere la qualifica di Ente di Terzo Settore. Tra le misure principali introdotte dalla normativa, c’è il nuovo trattamento delle attività non commerciali di interesse generale, il regime forfetario per gli enti non commerciali, le norme fiscali per le associazioni di promozione sociale e le organizzazioni di volontariato, gli aiuti “de minimis”. Soprattutto, con le nuove norme viene scongiurato il pericolo di aggravi burocratici e fiscali che avrebbero danneggiato in particolare le realtà più piccole e disincentivato la nascita di nuove. Parliamo di questioni di portata tutt’altro che secondaria. Pensiamo ad esempio alle piccole associazioni che realizzano il doposcuola per i giovani o l’assistenza agli anziani: senza un quadro normativo che tenesse conto delle loro peculiarità, avrebbero finito per essere disincentivate a perseguire la vocazione sociale.
Parliamo di un processo durato 5 anni: ora cosa cambierà concretamente?
L’iniziativa spontanea dei cittadini ad auto-organizzarsi per realizzare attività con fini sociali e non di arricchimento personale è sempre esistita e continuerà a esistere. Con la riforma che si avvia alla conclusione (mancano gli ultimi step del via libera del Senato alle norme fiscali e l’autorizzazione della Commissione europea) il Terzo settore viene riconosciuto giuridicamente, viene agevolato nel portare avanti attività di interesse generale ma anche vincolato al possesso di determinati requisiti, tra cui quelli di trasparenza. È un fatto positivo, anche perché aiuterà il cittadino a superare quello scoglio di diffidenza che spesso gli impedisce di riconoscere il valore e l’importanza di realtà non-profit. È importante chiarire che questo impianto normativo è una risposta che lo Stato doveva a un intero comparto sociale ed economico del Paese: finalmente è stato riempito un vuoto.
Sono norme sufficienti per tenere in piedi, in un momento così difficile, tutto il mondo delle associazioni e del volontariato?
Sono la base imprescindibile per consentire al Terzo settore di continuare a svolgere il suo ruolo fondamentale di collante sociale e leva economica del Paese (rappresenta il 5% del Pil), e di essere riconosciuto in tal senso. Ma sostenere lo sviluppo delle realtà sociali non significa solo prevedere delle norme: al contrario, queste devono essere il presupposto per ascoltare e coinvolgere il Terzo settore, in virtù della sua storica capacità di leggere i bisogni delle comunità, nei processi di realizzazione delle politiche per le persone e i territori. Nei momenti più difficili, come lo è stato l’inizio della pandemia o è tuttora l’emergenza umanitaria in Ucraina, il Terzo settore moltiplica i suoi sforzi e riesce comunque a dare risposte in breve tempo: ciò che manca, troppo spesso, è la lungimiranza della politica per farne un prezioso alleato nel trovare soluzioni ai problemi.
Teme che la campagna elettorale possa impedire di affrontare le emergenze per il terzo settore?
Temo che la campagna elettorale possa spostare l’attenzione dalle reali priorità del Paese: lotta alla povertà e alle disuguaglianze, ambiente, giovani generazioni, per citarne solo alcune. Solitamente in fase pre-elettorale lo scontro politico si inasprisce, ma nella dinamica strumentale di “caccia ai voti” si perde di vista la visione di futuro che si vuole trasmettere ai cittadini e che per il Terzo settore non può che essere improntata al principio di sostenibilità sociale, economica e ambientale. Credo che oggi ripensare il modello di società in termini di maggiore inclusività e solidarietà non è più un’alternativa possibile, ma un imperativo.
Cosa cambierà nei prossimi mesi e col nuovo governo? Temete che il mondo dell’associazionismo e del volontariato possa essere messo in disparte da un nuovo esecutivo?
Non possiamo sapere che considerazione avrà del Terzo settore il futuro governo. Quello che sappiamo è che, negli ultimi anni, da esponenti di ogni forza politica sono state pronunciate parole di apprezzamento e ringraziamento nei confronti del volontariato e dell’associazionismo. Nei fatti, però, le realtà sociali hanno subìto una forte disattenzione e non poche discriminazioni. Ci auguriamo che la politica tutta modifichi questo approccio nei confronti del Terzo settore, che non lo consideri più come un sostituto utile quando lo Stato non riesce a offrire adeguati servizi alla popolazione, ma come un interlocutore stabile e un attore fondamentale della società e dell’economia. Proprio per questo dobbiamo portare avanti un lavoro trasversale di sensibilizzazione verso il nostro mondo, anche e soprattutto a livello istituzionale.
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