Una sentenza della Corte di Giustizia UE suona l’allarme per le aziende cinesi che presentano offerte negli appalti nei Paesi europei. Cosa stabilisce e come incide sulla rivalità Ue-Cina?
Martedì 22 ottobre, la Corte dell’Unione Europea ha emesso una sentenza che molti aspettavano con impazienza e che limita notevolmente la partecipazione alle gare d’appalto per le imprese dei Paesi che non hanno firmato un accordo commerciale con l’Unione.
Il caso in questione riguardava un’azienda turca, ma l’impatto maggiore sarà sulle aziende cinesi, che finora hanno rappresentato una minaccia per le imprese europee a causa di una concorrenza sleale della Cina, come valutata in Ue, per prezzi bassi praticati.
In un contesto di guerra commerciale più o meno velata tra Bruxelles e Pechino, con la questione dei dazi alle auto elettriche del dragone in primo piano, la sentenza della Corte Ue può ulteriormente esacerbare il clima.
Cosa stabilisce la sentenza Ue e perché danneggia le aziende della Cina?
Dopo diversi interventi normativi in materia di gare d’appalto in Ue, l’attenzione si è concentrata su come la Corte dell’Unione Europea si è pronunciata nel caso C-652/22 denominato Kolin.
Nel dettaglio, la presunte parte lesa turco ha presentato ricorso all’Alta Corte amministrativa croata, ma poi il procedimento è stato spostato a un grado superiore, poiché il tribunale croato ha chiesto alla Corte UE di chiarire le circostanze in cui le amministrazioni aggiudicatrici di appalto possono, sulla base della direttiva relativa agli appalti pubblici, chiedere all’offerente, dopo la scadenza del termine per la presentazione delle offerte, di correggere o chiarire la loro offerta iniziale.
La società Kolin Inşaat di Ankara, che ha partecipato senza successo alla procedura di appalto pubblico per la costruzione dell’infrastruttura ferroviaria in Croazia (nella gara è stata scelta Strabag), ha perso la causa perché la Turchia non ha firmato un accordo internazionale con l’UE nel campo della appalti pubblici, ha annunciato martedì 22 ottobre la Corte dell’Unione europea.
“Gli enti economici di Paesi terzi, come la Turchia, che non hanno concluso un simile accordo internazionale con l’Unione non possono partecipare alla procedura di appalto pubblico nell’Unione chiedendo parità di trattamento in relazione agli offerenti degli Stati membri o agli offerenti di Paesi terzi vincolati da tale accordo”, si legge nella sentenza della Corte dell’UE.
In altre parole, la Corte per ora consente loro di partecipare, ma non fornisce loro praticamente alcuna protezione giuridica. Possono riferirsi alla violazione di alcuni principi generali, ma non godono della tutela giuridica del diritto comunitario o del diritto nazionale degli Stati membri.
Perché le aziende cinesi dovrebbero essere in allarme dopo la sentenza? Da diversi anni i bandi dell’Unione Europea sono aperti anche ad aziende provenienti da Paesi con i quali l’UE non ha un accordo di libero scambio.
Tuttavia, a causa dell’enorme numero di aziende principalmente cinesi che si sono aggiudicate un gran numero di contratti, l’atteggiamento e l’approccio sono cambiati negli ultimi anni. Le imprese della Cina, infatti, hanno risposto alle procedure degli appalti pubblici con prezzi molto bassi, e si sospettava che fossero aiutati in questo dagli abbondanti sussidi ricevuti dal loro Stato.
Un ulteriore problema è che gli offerenti cinesi avevano così libero accesso al mercato dell’UE, mentre la Cina ha limitato in modo significativo la possibilità degli offerenti dell’UE di partecipare al proprio mercato, attraverso numerose misure protezionistiche.
Ora, la sentenza limita anche per le imprese del dragone le tutele giuridiche se partecipano ad appalti nei Paesi membri. Questo potrebbe essere uno svantaggio per i loro affari.
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