Quella in Ucraina è la “guerra della protezione dei bambini”: Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia, racconta la situazione per i più piccoli nel Paese in un’intervista a Money.it.
La guerra in Ucraina è anche la guerra dei bambini, quella in cui a pagare le spese dei bombardamenti e della fuga di tantissimi civili sono soprattutto i più piccoli. Nelle città non c’è più acqua, non ci sono gas ed elettricità, i civili e gli ospedali sono tra i target dei bombardamenti così come le scuole.
Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia, racconta in un’intervista a Money.it qual è la situazione di bambine e bambini in Ucraina: “Questa è la crisi della protezione dei bambini”, sottolinea. Protezione necessaria contro i rischi a cui sono esposti i più piccoli: il traffico di esseri umani, lo sfruttamento, gli abusi, la prostituzione.
L’obiettivo è quello di tutelare soprattutto i bambini separati, ovvero quelli che arrivano al confine o si spostano nel Paese con adulti che non sono i loro genitori: “Bisogna intervenire per assicurare il ricongiungimento familiare”, sottolinea Iacomini.
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Qual è la situazione dei bambini in Ucraina ora?
Questa è la crisi della protezione dei bambini, perché questi numeri - che aumentano sempre di più - sono la fotografia della crisi non soltanto di due milioni di bambini in movimento e di 3,5 milioni di sfollati, ma di una crisi talmente veloce e immediata che necessita di particolare attenzione per l’infanzia. Perché per quanto riguarda la parte interna chi è rimasto vive in una situazione molto complicata se non è riuscito a scappare: è in atto una crisi alimentare, manca a oltre un milione di persone elettricità e gas; 4,5 milioni e mezzo di persone non hanno accesso all’acqua e a farne le spese sono soprattutto i bambini. Ci sono condizioni igienico-sanitarie impressionati, vivono nei sottoscala, nei bunker. Noi stiamo chiedendo che si tralasci questa logica del corridoio umanitario, perché lo è a metà, non avviene con canali aerei e autobus, ma sono corridoi per cui spesso sei costretto ad andare in Russia e che comunque non sono sicuri.
Cosa serve quindi?
Internamente c’è bisogno - e sono d’accordo con quanto detto da Draghi - di cercare una tregua duratura che consenta al nostro team di 200 persone di arrivare ovunque e portare quanto serve. C’è stato un numero enorme di ospedali bombardati, nelle ultime ore anche uno pediatrico ma per fortuna era vuoto, ieri sera erano state effettuate le ultime visite. Civili, bambini e ospedali sono il target, noi abbiamo portato assistenza a 20 ospedali del Paese, molti sono stati bombardati, si fa l’assistenza dei bambini in zone di fortuna. Sono state bombardate 320 scuole, questo è il quadro.
Quali sono le altre preoccupazioni?
Siamo estremamente preoccupati perché nel Paese ci sono sempre più bambini in movimento, è difficile arrivare al confine ed è raccomandata un’azione di registrazione per il ricongiungimento familiare. Purtroppo i bambini rischiano di essere esposti a traffico, sfruttamenti, abusi. Dal primo giorno abbiamo evidenziato come fosse facile, in una crisi come questa, che un bambino da solo fosse esposto a situazioni poco gradevoli.
Ci sono molti bambini non accompagnati?
I bambini non accompagnati non sono tanti, ma ci sono molti bambini separati. Si muovono con un tutore, un parente, hanno un tessuto di rapporti e relazioni in Ucraina. Ci sono mamme a cui sono stati affidati altri 10 bambini oltre ai suoi figli, questi sono i bambini separati. Arrivano con un adulto al confine e raccontano di avere rapporti in Europa con un parente. Per noi è fondamentale, per evitare mercati attorno a questi bambini, essere al confine dell’Ucraina e qui quando arrivano sono state allestite attività per i cosiddetti spazi blu di registrazione anagrafica e di raccolta dei dati per il ricongiungimento familiare: vengono ospitati in centri d’accoglienza temporanei per evitare il secondo trauma dell’affidamento temporaneo.
Si riesce a portare a termine l’attività di ricongiungimento?
Internamente all’Ucraina abbiamo creato un’app nella quale vengono segnalati i bambini che restano soli da chi li incontra, dai vicini, dai parenti, etc. Non solo si segnalano i bambini soli ma ci sono già 2mila famiglie che si prendono in carico questi bambini. Abbiamo evidenze di 500 bambini non accompagnati in Romania, un numero abbastanza bassa se consideriamo che in fuga ce ne sono due milioni, ma i dati sono parziali. Ci preoccupano molto i bambini separati ora.
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Un altro dei grandi problemi per i bambini ucraini ora è quello dell’istruzione...
Cinque milioni di bambini non vanno a scuola ed è un numero in crescita. 320 scuole sono state distrutte. Nei nostri punti di raccolta stiamo facendo un lavoro, che svolgiamo anche in altre emergenze, cercando di dare una normalità a questi ragazzini: giocando, seguendo lezioni. Quando arrivano ai confini e nelle strutture d’accoglienza si tengono momenti di lezione, forniamo loro spazi per tornare alla normalità scolastica perduta. Adesso l’altra sfida è quella dell’integrazione scolastica, nei nostri sistemi scolastici. Non è facile. Noi finora abbiamo portato 700 tonnellate di aiuti con i nostri camion, siamo entrati anche nelle province bombardate. È chiaro che oltre cinque milioni su sette di bambini sono fuori alla scuola e gli altri due non sono registrati perché sono andati via tutti.
Quali sono gli altri rischi maggiori per i bambini oltre a quelli strettamente legati al conflitto?
Un problema è sicuramente quello dei bambini e delle bambine accompagnati da un tutore, sono esposti e per questo dobbiamo proteggerli - quando arrivano al confine - da chi va lì e prova e prenderli. In più c’è un altro problema che è uscito fuori: si rischia la violenza di genere, la prostituzione. Non abbiamo ancora evidenze di crimini di guerra certificati. L’esodo è stato enorme. Quando leggo chi scrive di deportazione resto perplesso: non abbiamo queste evidenze. Dove sono e dove sono stati portati? Non ho ancora evidenze e userei le parole giuste, perché se parlassimo di deportazione saremmo di fronte a qualcosa di ancora più grande.
Qual è la situazione in Ucraina dal punto di vista sanitario?
La situazione è tragica, gli ospedali sono al collasso o non ci sono più. Lavorano nel sottoscala, ci sono reparti oncologici con pochi bambini che non si possono muovere. Non hanno le strutture sanitarie per curarsi, le strutture sono al collasso. Per questo distribuiamo kit igienico-sanitari. Poi manca l’acqua, siamo estremamente preoccupati.
Cosa serve ora ai bambini ucraini e cosa si può fare concretamente anche dall’Italia?
Bisogna sostenere le organizzazioni umanitarie che stanno operando là, che hanno bisogno di tutto. C’è arrivato di tutto finora e inoltre il nostro sistema di accoglienza in Italia sta funzionando benissimo, è previsto un contributo dal governo sia ai privati che agli enti accreditati che accolgono. Oggi bisogna finanziare questi meccanismi di registrazione, finanziare i nostri progetti: per esempio c’è una campagna di vaccinazione da mettere in piedi.
Come si può intervenire per la loro accoglienza in Italia?
Gli italiani stanno dimostrando una solidarietà unica. Ma arrivano tante richieste di persone che dicono di voler andare a prendere gli ucraini, però non funziona così. Bisogna far comprendere che si devono seguire le vie legali: se si vuole accogliere qualcuno bisogna prendere contatti con gli enti preposti e iniziare un percorso.
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