Nella seconda parte del 2018 la Borsa di Francoforte ha bruciato tutti i rialzi maturati nelle prime settimane dell’anno. Dai massimi storici del 23 gennaio il paniere è scivolato sui minimi del 9 novembre 2016, bruciando in 6 mesi oltre il 20% del suo valore
Nel corso degli ultimi mesi l’attenzione degli investitori internazionali è stata rivolta verso l’Italia. Al centro del dibattito dapprima la composizione del nuovo Governo dopo l’esito delle elezioni dello scorso 4 marzo e successivamente l’impostazione della manovra di bilancio 2019 che tanta tensione ha creato tra Roma e Bruxelles.
Da più parti i ribassi di Piazza Affari sono stati interpretati come un generale clima di sfiducia verso l’Italia. Ma vi è un ma. Indubbiamente l’innalzamento dello spread tra BTP e Bund, con i picchi sopra la soglia dei 320 punti base, ha rappresentato un freno per le prospettive di Borsa delle società quotate a Milano, in particolare per il comparto bancario. La questione italiana si è tuttavia inserita in un contesto di generale avversione al rischio.
Dopo quasi un decennio di rialzi continui, molti investitori hanno iniziato a dubitare sulla sostenibilità dei rialzi di Wall Street. La lettura di alcuni dati macroeconomici sembrano mostrare i primi segni di rallentamento della prima economia mondiale. In questo contesto, certamente non positivi sono le tensioni tra Donald Trump e il Governatore della Federal Reserve, Jerome Powell. Guardando al mondo corporate, nemmeno la guerra commerciale che a suon di dazi vede contrapposte Cina e America appare costruttiva.
Una conferma che si tratti più di una questione generale piuttosto che specificatamente italiana emerge anche andando ad analizzare il comportamento del DAX, indice di riferimento della Borsa tedesca. Il paniere, che raccoglie le 30 più grandi società teutoniche, ha vissuto un 2018 all’insegna delle due velocità.
Giunti all’ultima seduta di Borsa del 2018, pochi forse ricordano che solo lo scorso 23 gennaio l’indice aggiornava i massimi storici arrivando a toccare i 13.596,8896. Il paniere tedesco veniva da una performance positiva maturata nel corso del 2017 superiore al 12% e l’avvio del nuovo anno sembrava confermare l’impostazione rialzista dell’indice.
Qualcosa però nei mesi si è impallato, nonostante il vantaggio competitivo derivante da un minor costo di accesso al credito rispetto agli altri Paesi dell’Eurozona. La locomotiva tedesca ha (e dovrà) infatti fare i conti sulle prospettive reddituali delle sue aziende principali, specialmente considerando che nella guerra dei dazi molte di esse potrebbero subire forti penalizzazioni.
Se a questo si aggiunge che da più parti emergono per il 2019 previsioni di apprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro Usa. ecco che il quadro prospettico si complica ancor più. L’export verso gli Stati Uniti è uno dei punti di forza delle imprese tedesche e un apprezzamento della moneta unica europea rappresenterebbe un ulteriore freno.
Che non si tratti di una questione prettamente italiana è infine evidenziato da un altro dato: il movimento discendente intrapreso dal DAX dai massimi di periodo del 15 giugno scorso, quando il paniere aveva toccato un top intraday a 13.170,0498 punti, ha in poco più di 6 mesi cancellato tutti i rialzi maturati nel corso del 2017 e del 2018. Il movimento dai top di giugno ai minimi di ieri ha segnato una flessione del 21,95%, riportando le quotazioni sui minimi dal 9 novembre 2016.
E come si è comportata Piazza Affari nello stesso periodo? Dai top intraday del 15 giugno a 22.508,3 punti, il FTSE Mib ieri ha archiviato la seduta a 18.064,62 punti, con una flessione del 19,74%. Soprattutto si è riportata su valori che non venivano scambiati da 7 dicembre 2016, ossia dal mercoledì successivo al referendum voluto dal Governo Renzi.
A metà novembre di due anni fa il FTSE Mib stava invece abbondantemente sotto la soglia psicologica dei 17mila punti. Ecco, la discesa dei mercati forse non è stata solo una questione italiana. E la Germania dovrebbe averlo capito.
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