Cambiare lavoro più volte nel corso dell’anno potrebbe costare caro in sede di dichiarazione dei redditi: ecco perché e come risolvere.
Cambiare più volte lavoro nel corso dello stesso anno potrebbe comportare delle conseguenze sul piano fiscale, delle quali ci si renderà conto solamente in sede di dichiarazione dei redditi.
Chi cambia lavoro nel corso dell’anno, infatti, si ritroverà con più di una certificazione unica e - come già ne abbiamo parlato in altre circostanze - tale situazione molte volte fa sì che dalla dichiarazione dei redditi ne risulti un debito Irpef, del quale si dovrà fare carico il contribuente.
Una situazione che non riguarda solamente coloro che svolgono più lavori contemporaneamente, ma anche chi nel corso dell’anno ha avuto più lavori in periodi differenti.
Per evitare brutte sorprese, dunque, c’è un errore che non bisogna commettere quando si cambia lavoro: nel dettaglio, è sufficiente chiedere all’ormai ex datore di lavoro la consegna della certificazione unica provvisoria, la quale andrà poi consegnata alla nuova azienda affinché questa possa tenerne conto nel calcolo delle relative imposte.
Vediamo perché si tratta di un passaggio fondamentale se si vuole evitare che il cambio di lavoro possa avere ripercussioni economicamente rilevanti nella dichiarazione dei redditi che verrà presentata nell’anno successivo.
Perché il cambio lavoro si può ripercuotere negativamente sulla dichiarazione dei redditi
Come noto, avere un doppio lavoro, e quindi un doppio reddito, può portare a spiacevoli sorprese in dichiarazione dei redditi, visto che è molto probabile che dalle operazioni di conguaglio ne risulti un debito Irpef.
Quel che molti non sanno, ma di cui se ne rendono conto nel malaugurato caso in cui tale situazione li dovesse coinvolgere da vicino, è che anche il cambio di lavoro nel corso dell’anno potrebbe portare a questo spiacevole scenario.
Come prima cosa è bene sottolineare che il cambio lavoro non porta al pagamento di più tasse. Semplicemente se ne pagano di meno nel corso dell’anno, mentre in sede di conguaglio della dichiarazione dei redditi - e quindi una volta valutato quanto effettivamente percepito dal contribuente - verrà chiesto di pareggiare i conti.
Per capirne il motivo dobbiamo vedere in che modo ogni datore di lavoro agisce come sostituto d’imposta. Nel dettaglio, in base allo stipendio erogato e alla durata del rapporto di lavoro, il datore di lavoro trattiene tanta Irpef quanto dovuta per lo scaglione di riferimento.
Tuttavia, il datore di lavoro prenderà in considerazione solamente le informazioni di cui è a conoscenza, ossia della retribuzione che la sua azienda eroga. Eventuali doppi lavori, così come altri rapporti di lavoro avuti nel corso dell’anno, non vengono quindi presi in esame.
Ciò significa che, non essendo a conoscenza di altri redditi, il datore di lavoro potrebbe aver tassato i redditi applicando un’aliquota Irpef più bassa di quanto effettivamente dovuto. Il che ha delle conseguenze positive sugli stipendi, visto che questi saranno più alti, ma con il rischio di ricevere un duro colpo dalla dichiarazione dei redditi che verrà presentata nell’anno successivo.
Sicuramente questo avrebbe preferito una trattenuta maggiore in busta paga, ma evitando così spiacevoli sorprese dal 730.
Per capire meglio, prendiamo come esempio Marco che da gennaio a giugno 2022 lavora presso l’azienda Alpha percependo uno stipendio con Ral da 30.000 euro, per poi spostarsi per il secondo semestre dell’anno nell’azienda Beta dove passa a una Ral da 45 mila euro.
Cosa succede in questo caso? L’azienda Alpha agisce come sostituto d’imposta e su ogni busta paga sottrae il 23% sui primi 15.000 euro, il 25% sulla parte che va dai 15.0001 ai 28 mila euro e il 35% sui restanti 2.000 euro. Tuttavia, alla cessazione del rapporto di lavoro viene effettuato un ricalcolo della tassazione, visto che il reddito percepito da tale attività non è più di 30.000 euro, bensì di 15.000. Con le competenze di fine rapporto, dunque, verrà restituita l’Irpef pagata in più, non sapendo però che Marco sta per iniziare una nuova attività presso l’azienda Beta.
Allo stesso tempo, l’azienda Beta tasserà Marco solamente su un reddito di 22.500 euro, ossia per quanto andrà a percepire nel semestre.
Complessivamente, dunque, Marco risulta aver versato le seguenti tasse (al netto delle detrazioni):
- il 23% di 15.000 euro, ossia 3.450 euro;
- il 23% di altri 15.000 più il 25% di 7.500 euro, per un totale di 5.325 euro.
In totale fanno 8.775 euro.
Tuttavia, in totale Marco risulta aver percepito un reddito di 37.500 euro, quindi l’imposta effettivamente dovuta, sempre al netto delle detrazioni, sarebbe dovuta essere pari a:
- 23% dei primi 15.000 euro: 3.450 euro;
- 25% per la parte compresa tra 15.0001 e 28.000 euro, ossia 13.000 euro: 3.250 euro;
- 35% per la parte compresa tra 28.000 e 37.500 euro, ossia 9.500 euro: 3.325 euro.
In totale, 10.025 euro.
Rispetto a quanto trattenuto dalle buste paga dai due datori di lavoro, in qualità di sostituti d’imposta, Marco ha un debito nei confronti dell’Inps di 1.250 euro, cifra che si abbassa se si tiene conto delle detrazioni spettanti ma comunque rilevante.
Come evitare spiacevoli sorprese in caso di cambio lavoro
Cosa fare, dunque, per evitare che una tale situazione si verifichi? Come si può evincere dall’esempio, sarebbe bastato che l’azienda Beta fosse stata a conoscenza di quanto già percepito da Marco nell’azienda Alpha, in modo che questa potesse calcolare le trattenute da effettuare avendo una visione globale anziché parziale.
A tal proposito, Marco avrebbe potuto chiedere all’azienda Alpha la cosiddetta certificazione unica provvisoria, la quale dovrà poi essere consegnata all’azienda Beta in modo che questa possa prendere coscienza di tutti i redditi percepiti.
Un piccolo accorgimento, che non costa nulla né a voi né all’azienda, che vi metterà a riparo da spiacevoli sorprese.
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