Sul canone Rai è in atto un autentico scontro tra Lega e Forza Italia, ma sullo sfondo si intrecciano vicende riguardanti Mediaset e Ferrovie: perché il governo si è spaccato e quali rischi corre.
Il caso del taglio del canone Rai, che ha portato la maggioranza ad andare sotto in commissione Bilancio al Senato, tra alcuni decenni potrà essere preso a modello da parte degli studiosi per descrivere il degrado della politica dei nostri giorni in Italia.
Il fatto poi che certe prese di posizione siano considerate essere come “normali” da parte delle opposizioni, della stampa e dell’opinione pubblica, ci fa intuire che questo corto circuito ormai sia diventato endemico.
Per capire perché Lega e Forza Italia stanno litigando sul canone Rai, tanto da arrivare a farsi reciproci sgambetti durante i lavori riguardanti la legge di Bilancio 2025, bisogna fare un passo indietro fino al 2004 per avere un quadro più completo della situazione.
Durante il secondo governo guidato da Silvio Berlusconi - la cui famiglia possiede ancora oggi la maggioranza di Mediaset - è stata approvata la legge Gasparri che disciplina il sistema radiotelevisivo italiano; tra i vari dettami c’è quello che la Rai non può raccogliere più del 4% delle risorse complessive del mercato pubblicitario televisivo nazionale, un tetto giustificato dalla presenza del canone che va a compensare questi possibili mancati introiti per l’azienda di viale Mazzini.
Un dettaglio non di poco conto per capire quello che sta accadendo oggi in seno alla maggioranza di centrodestra.
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La lite Lega-Forza Italia sul canone Rai
Da sempre la Lega sta portando avanti una battaglia per diminuire progressivamente il canone Rai, con lo scopo finale che è quello di arrivare alla sua completa cancellazione. Una promessa questa ribadita anche durante l’ultima campagna elettorale.
Nella legge di Bilancio 2024 il Carroccio è riuscito a strappare una riduzione del costo del canone per i cittadini da 90 a 70 euro, ma la misura è stata finanziata solo per un anno e per prorogarla anche nel 2025 servono le coperture necessarie: stando a quanto si apprende, oltre 400 milioni.
Soldi questi che sarebbero stati trovati da Matteo Salvini - poi vedremo come -, tanto che il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti pure lui leghista, ha dato il parere positivo all’emendamento al decreto fiscale che chiedeva di confermare anche nel 2025 il taglio del canone.
Come noto però in commissione Bilancio al Senato la maggioranza è andata sotto: 10 voti favorevoli contro i 12 contrari, con Forza Italia che ha votato insieme alle opposizioni affossando così l’emendamento della Lega.
A spiegare il motivo del voto contrario è stato proprio Maurizio Gasparri, ora senatore forzista: “Se si riduce il canone, bisogna comunque trovare 430 milioni da dare alla Rai, e bisogna trovarli nella fiscalità generale, cioè dalle tasse dei cittadini”.
In una sorta di “ritorsione”, subito dopo la Lega ha votato contro e affossato un emendamento riguardante questa volta la sanità in Calabria, regione guidata dall’azzurro Roberto Occhiuto.
Per Giorgia Meloni si tratterebbe di “schermaglie”, cose che possono accadere quando una maggioranza è alle prese con la stesura di provvedimenti delicati e importanti come la manovra economica. Ma siamo sicuri che non ci sia altro dietro questo scontro tra Lega e Forza Italia?
Mediaset, Ferrovie e il canone Rai
Stando a quanto dichiarato da Maurizio Gasparri, il voto contrario di Forza Italia alla proroga del taglio del canone Rai sarebbe dovuto al fatto che poi le coperture necessarie sarebbero dovute essere trovate nella fiscalità generale.
Il senatore però, essendo autore dell’omonima legge sopracitata, dovrebbe sapere che la progressiva riduzione del canone andrebbe a permettere alla Rai di aumentare il proprio tetto della raccolta pubblicitaria, un problema non di poco conto per Mediaset che così vedrebbe accrescere la concorrenza.
“Aumentare di un punto percentuale la pubblicità della tv di Stato – ha spiegato alcuni mesi fa il deputato leghista Stefano Candiani a L’Identità – garantirebbe una raccolta di quasi 600 milioni che darebbero all’azienda la possibilità di una maggiore autonomia sul mercato”.
In sostanza l’azienda della famiglia Berlusconi potrebbe subire un danno economico importante: secondo diversi critici, sarebbe questo il vero motivo dell’irrigidimento di Forza Italia in commissione Bilancio, versione naturalmente smentita dagli azzurri.
“Non possiamo dirlo altrimenti si crea un caso nella maggioranza e facciamo un favore alle opposizioni - ha scritto Affari Italiani riportando uno sfogo di parlamentari leghisti a microfono spento -, ma è talmente ovvio che i cittadini lo capiscono benissimo”.
Dopo la morte di Silvio Berlusconi, molto si è parlato di una scesa in campo di uno dei suoi figli, con Pier Silvio - amministratore delegato di Mediaset - che più volte è stato descritto come pronto a cimentarsi con la politica per ricalcare le orme paterne.
Da quando l’ex premier è venuto a mancare, i suoi cinque figli si sono accollati gli oltre 90 milioni di euro di debiti di Forza Italia in passato garantiti dal padre: anche senza ruoli ufficiali, il legame tra la famiglia Berlusconi e il partito è ancora forte.
Interessante poi è vedere anche come Matteo Salvini avrebbe trovato i soldi per rifinanziare il taglio al canone Rai, il tutto probabilmente per piazzare una bandierina dietro cui celare le difficoltà a mantenere le promesse elettorali in tema di pensioni e fisco.
Stando a quanto riportato da Il Post, nell’emendamento “presentato dai senatori della Lega, infatti, si prevedeva che il mancato introito connesso alla riduzione del canone venisse compensato con una riduzione di 430 milioni di euro di un fondo destinato a RFI, la società pubblica che gestisce la rete ferroviaria italiana e che fa capo proprio al ministero dei Trasporti guidato da Salvini”.
Curioso poi è che a inizio novembre l’Ansa ha riportato come la Lega avrebbe chiesto “altri 430 milioni di euro per il contratto di programma, nella parte servizi, tra il ministero delle Infrastrutture e Rete ferroviaria italiana, per il 2024”.
Una sorta di gioco delle tre carte insomma, in un momento poi molto delicato per Ferrovie, ma a fare rumore è solo l’esito del voto in commissione Bilancio e non tutto quello che ci sarebbe dietro.
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