Il Parlamento europeo ha approvato la direttiva Ue sulle case green, che obbliga al passaggio alla classe energetica E entro il 2030: ecco su quali incentivi si potrà fare affidamento.
Il Parlamento Ue ha approvato la proposta di direttiva europea sulle case green. La luce verde è arrivata con 343 voti favorevoli, 216 voti contrari e 78 astenuti. Il testo prevede che si arrivi alla classe energetica E entro il 2030, con il governo italiano che continua a dichiararsi contrario. Non si tratta di un via libera definitivo, perché ora si deve attivare la fase di negoziazione tra Parlamento, Commissione e Consiglio europei, ma è sicuramente un significativo passo in avanti sulla strada del nuovo discusso provvedimento.
L’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, assieme ad Ance e Confedilizia, parla di obiettivi troppo stringenti da raggiungere in poco tempo, senza fondi europei e con una forza lavoro limitata per sostenere la maxi opera di efficientamento energetico. Il governo è quindi pronto a dare battaglia al Consiglio europeo, dove serve una maggioranza qualificata (55% dei membri del Consiglio, che rappresentino almeno il 65% della popolazione dell’Unione) per approvare la direttiva.
In Italia, poi, al momento è stato fortemente ridimensionato dallo stesso governo il Superbonus, passato dal 110% al 90% e senza più la possibilità di cessione del credito e sconto in fattura. Quali, incentivi, allora rimangono nelle mani dei cittadini per provare a non subire una stangata da migliaia di euro?
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Cosa prevede la direttiva Ue sulle case green
La direttiva Ue nasce per provare ad abbattere le emissioni inquinanti. Case e palazzi sono infatti responsabili di oltre un terzo delle emissioni a effetto serra dell’Unione. Oggi i nostri edifici sono divisi in classi energetiche a seconda di quanto inquinano. In Italia il 74% degli immobili ha classe inferiore alla D, il 60% inferiore alla E.
La direttiva obbligherebbe tutte le case al passaggio alla classe E entro il 2030 e alla D entro il 2033, con tempi ancora più stretti per gli edifici pubblici.
Secondo gli esperti intervistati da Money.it (Francesco Nocera e Gianpiero Evola dell’Università di Catania e Simone Franzò di Energy&Strategy), i lavori in casa potrebbero far risparmiare fino a 2000 o 3000 euro a famiglia sulla bolletta del gas ogni anno.
Ma, attenzione: procedere con questi lavori costa decine di migliaia di euro e senza incentivi il gioco non vale la candela. Oggi in Italia c’è il Superbonus (con la sola detrazione in dichiarazione dei redditi in quattro anni), ma estenderlo a tutti per lo Stato costerebbe troppo. Insomma, ci vorrebbe un sostegno europeo finanziato da fondi comuni.
Obbligo Ue di ristrutturazione, quante case sono coinvolte?
In tutto le case da ristrutturare potrebbero essere anche 8 milioni: oltre 4,55 milioni di edifici residenziali in classe energetica G e 3,17 in classe F. Si tratta di un numero enorme di edifici, che difficilmente potranno essere ristrutturati in poco tempo. Quelli che sicuramente andtebbero ristrutturati senza rientrare nelle esenzioni (potrebbero essere escluse le seconde case e gli edifici storici) sono 1,8 milioni. Anche con la leva del Superbonus al 110% si sono fatti in 3 anni solo 385mila riqualificazioni asseverate tra condomini, villette e unità indipendenti.
Se il trend, nonostante la stretta sulle cessioni dei crediti, rimanesse lo stesso, nel 2030 verrebbe coperto un edificio su otto della platea massima interessata dalla direttiva. In questo caso, quindi, potrebbe arrivare una multa ingente per l’Italia visto il mancato rispetto dei target.
Tutti i bonus utilizzabili per i lavori in casa
Oltre al Superbonus al 90% ci sono il bonus ristrutturazione, l’ecobonus e il sismabonus. Per tutti questi contributi non ci sarà più la possibilità di cedere il credito alle banche o di applicare direttamente gli sconti nella fattura delle imprese edili. Resta solo la possibilità della detrazione, per lo più in 10 anni, degli importi pagati per la ristrutturazione e/o la riqualificazione.
Il bonus ristrutturazione consiste in una detrazione del 50% del costo dei lavori per interventi di manutenzione straordinaria, per il risanamento conservativo, la ristrutturazione e il restauro. Rientrano nel contributo anche tutte le spese per gli interventi di manutenzione ordinaria che si realizzano sulle parti comuni condominiali.
L’ecobonus è invece al 50% e al 65%. Lo sconto può arrivare in alcuni casi anche fino all’85%, con i lavori sempre finalizzati al miglioramento energetico della casa. Le spese comprendono sia i costi per i lavori relativi all’intervento di risparmio energetico, sia quelli per le prestazioni necessarie per realizzare l’intervento e ottenere la certificazione energetica.
Infine c’è il sismabonus. Si tratta di una detrazione al 90% (con tetto di spesa fissato a 96mila euro) e vale per: lavori antisismici generici; interventi per la riduzione del rischio sismico di una o due classi, anche sulle parti comuni dei condomini; demolizione e ricostruzione di edifici, sempre per abbassare il rischio, tramite imprese edilizie. Gli interventi devono contribuire alla riduzione del rischio sismico (le abitazioni devono essere in una zona sismica 1,2 o 3).
Il piano del governo Meloni per aumentare gli incentivi
Il governo Meloni è impegnato a risolvere il nodo dei crediti incagliati nei cassetti fiscali delle banche, che bloccano migliaia di cantieri in tutta Italia, finanziati per lo più dal Superbonus. Nel frattempo, però, l’esecutivo studia anche nuovi incentivi per coprire un possibile obbligo di ristrutturazione di massa come da bozza della direttiva.
Secondo l’Ance bisognerebbe ripartire da ciò che, nel caos generale di burocrazia e prezzi gonfiati, ha funzionato del Superbonus, incentivando la qualificazione delle imprese, i prezzari e il rispetto del contratto collettivo dell’edilizia. Le nuove agevolazioni non saranno più sicuramente oltre il 110%, quindi l’Ance consiglia di modulare la percentuale in funzione dell’obiettivo di sostenibilità che si raggiunge, sia per la classe energetica sia per l’antisismica.
Non solo: propone il ritorno della cessione del credito, ragionando su agevolazioni variabili in base al reddito dei beneficiari, magari lasciandola solo ai condomini o agli incapienti. Per evitare che le rate di detrazione vadano sprecate, poi, si potrebbe permettere al beneficiario di rendere la detrazione un credito d’imposta che lui stesso può usare nel modello F24 per pagare l’Imu. Altrimenti si potrebbe consentire di sfruttare negli anni successivi le rate che non sono state utilizzate.
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