Che succede se lavoro per più di 48 ore settimanali?

Paolo Ballanti

5 Dicembre 2022 - 16:33

I limiti all’orario di lavoro hanno lo scopo di tutelare la salute psico-fisica del lavoratore e la sua vita privata e sociale. Quali conseguenze ci sono se si superano le 48 ore settimanali?

Che succede se lavoro per più di 48 ore settimanali?

La legge, attraverso il decreto legislativo 8 aprile 2003 numero 66, definisce (articolo 1, comma 2, lettera a) l’orario di lavoro come «qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni».

Nel corso dell’orario di lavoro, il dipendente si trova quindi soggetto al potere direttivo del datore di lavoro. Quest’ultimo, in particolare, ha il compito di gestire l’attività manuale e/o intellettuale del lavoratore, nel rispetto di quelle che sono le esigenze economico-produttive dell’azienda.

Per bilanciare il potere datoriale, il citato decreto legislativo numero 66/2003 impone una serie di limiti riguardanti l’impegno lavorativo garantito dal dipendente, come:

  • orario giornaliero;
  • orario normale settimanale;
  • riposo giornaliero;
  • riposo settimanale;
  • pause intermedie.

L’esistenza di limitazioni di questo tipo risponde all’esigenza di tutelare il benessere psico-fisico del lavoratore, oltre a permettergli di dedicarsi alla propria vita privata, sociale e familiare.

Per gli stessi obiettivi appena citati, l’articolo 4, comma 2, dlgs. numero 66/2003, impone un tetto alla durata media dell’orario di lavoro. Quest’ultima, in particolare, non può superare, per ogni periodo di 7 giorni, le 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario.

Cosa accade, è lecito chiedersi, nei casi in cui si superi il tetto imposto all’orario di lavoro settimanale? Analizziamo la questione in dettaglio.

Diritto al compenso per lavoro straordinario

Il lavoro straordinario è quello prestato oltre le 40 ore settimanali o il diverso orario di lavoro a tempo pieno previsto dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro applicato.

Il dipendente che supera le 40 ore settimanali o il limite del tempo pieno ha diritto alle maggiorazioni retributive previste dal Ccnl applicato. In alternativa (o in aggiunta), sempre stando a quanto previsto dal contratto collettivo, è possibile usufruire di riposi compensativi.

Le conseguenze economiche a fronte del lavoro straordinario spettano, naturalmente, anche a colui che ha oltrepassato il limite delle 48 ore settimanali medie di lavoro.

Attenzione al limite annuo

Al di là di quanto appena affermato, è opportuno tener presente che, come prescritto dall’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo numero 66/2003, il ricorso «a prestazioni di lavoro straordinario deve essere contenuto».

I contratti collettivi, di norma, fissano un limite massimo annuale, entro cui sono autorizzate le prestazioni di lavoro straordinario.

In assenza di disciplina collettiva applicabile, l’utilizzo dello straordinario è ammesso «per un periodo che non superi le duecentocinquanta ore annuali» (articolo 5, comma 3, dlgs. numero 66/2003).

Sanzione amministrativa pecuniaria per il datore di lavoro

L’inosservanza delle disposizioni previste dall’articolo 4, comma 2, del decreto legislativo numero 66/2003, riguardanti il limite delle 48 ore settimanali medie, comporta per il datore di lavoro una sanzione amministrativa pecuniaria da 240 a 1.800 euro.

Se la violazione:

  • si riferisce a più di cinque lavoratori ovvero si è verificata in almeno tre periodi di riferimento, la sanzione amministrativa è da 960 a 3.600 euro;
  • si riferisce a più di dieci lavoratori ovvero si è verificata in almeno cinque periodi di riferimento, la sanzione amministrativa è da 2.400 a 12.000 euro e non è ammesso il pagamento della sanzione in misura ridotta.

Il lavoratore può rifiutarsi di lavorare oltre le 48 ore settimanali?

Partendo dal presupposto che, come sopra anticipato, il ricorso allo straordinario dev’essere contenuto, il consenso del lavoratore, ha sottolineato la giurisprudenza di Cassazione con la sentenza del 23 marzo 1989 numero 1484, non è necessario in presenza di un contratto collettivo che disciplini lo straordinario.

Al contrario, in assenza di una regolamentazione collettiva applicabile, il consenso dell’interessato al lavoro straordinario dev’essere espresso previo accordo con l’azienda.

Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi, lo straordinario è inoltre ammesso (senza consenso del lavoratore) in una serie di situazioni particolari:

  • eccezionali esigenze tecnico-produttive e impossibilità di farvi fronte con l’assunzione di altri lavoratori;
  • forza maggiore o casi in cui la mancata esecuzione di prestazioni di lavoro straordinario può dar luogo a un pericolo grave e immediato, ovvero a un danno alle persone o alla produzione;
  • eventi particolari, come mostre, fiere e manifestazioni collegate all’attività produttiva, nonché allestimento di prototipi, modelli o simili, predisposti per le stesse.

Oltre all’ipotesi del lavoratore studente (ai sensi dell’articolo 10, legge 20 maggio 1970 numero 300, cosiddetto «Statuto dei lavoratori»), il dipendente può sempre rifiutare di svolgere lavoro straordinario, quando:

  • sussiste un giustificato e comprovato motivo di rilevante gravità che impedisce la prestazione (circolare ministero del Lavoro del 3 marzo 2005 numero 8);
  • il potere del datore di lavoro non è stato esercitato secondo correttezza e buona fede.

In entrambe le ipotesi citate, pertanto, potrebbe inserirsi la situazione del lavoratore che, certo di aver superato il limite delle 48 ore settimanali medie nel periodo di riferimento, rifiuta di svolgere ulteriori ore di straordinario.

Come funziona il limite delle 48 ore settimanali?

Il decreto legislativo numero 66/2003 stabilisce (comma 1) che i contratti collettivi di lavoro fissano la durata massima settimanale dell’orario di lavoro.

In ogni caso (comma 2), la durata media non può eccedere, per «ogni periodo di sette giorni, le quarantotto ore, comprese le ore di lavoro straordinario».

La durata media dev’essere calcolata considerando le ore lavorate dall’interessato in un periodo non superiore a 4 mesi elevato, da parte dei singoli contratti collettivi, fino a:

  • 6 mesi;
  • 12 mesi a fronte di «ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro, specificate negli stessi contratti collettivi».

Si pensi, ad esempio, a un lavoratore che ha totalizzato:

  • 60 ore medie settimanali di lavoro a gennaio;
  • 40 ore medie settimanali di lavoro a febbraio;
  • 42 ore medie settimanali di lavoro a marzo;
  • 49 ore medie settimanali di lavoro ad aprile.

A questo punto la media corrisponde a 60 + 40 + 42 + 49 = 191 / 4 = 47,75 ore medie settimanali in quattro mesi.

Come si individua il periodo di riferimento?

Il periodo di riferimento per il calcolo della media non prende in considerazione le ferie annue e le assenze per malattia, infortunio o gravidanza. Tutte le altre casistiche di assenza con diritto alla conservazione del posto restano, al contrario, comprese nel periodo di riferimento, sia pur con indicazione a zero ore.

Di conseguenza, le assenze come ferie o malattia, comportano uno «scorrimento» del periodo di riferimento che, pertanto, può superare il quadrimestre, il semestre o l’anno.

Per esempio, se il lavoratore interessato è stato assente in ferie dal 1° febbraio al 15 febbraio, il periodo di riferimento di 4 mesi non sarà dal 1° gennaio al 30 aprile, ma dal 1° gennaio al 15 maggio.

Un caso particolare può verificarsi nei contratti a termine di durata inferiore al periodo di riferimento di 4, 6 o 12 mesi. In queste fattispecie per il calcolo dell’orario medio è necessario considerare l’effettiva durata del contratto di lavoro a tempo determinato.

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