È un genocidio quello che si consuma a Gaza. Nel risalire alle origini del conflitto ci si domanda chi abbia ragione tra Israele e la Palestina, ma perché scoprirlo non condurrà alla pace?
La Terra degli Ulivi è immersa in un bagno di sangue: la Striscia di Gaza è diventata il triste teatro del genocidio palestinese, come sostengono gli esperti delle Nazioni Unite. Il conflitto in corso tra Israele e Hamas in Palestina è il quindicesimo in oltre 70 anni di tensioni mai risolte.
Tra ingerenze esterne e gruppi terroristici interni, il conflitto israelo-palestinese continua a mietere vite: stando all’ultimo bilancio si contano 1.400 israeliani morti, mentre sono 10.812 i palestinesi uccisi nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre, di cui 4.412 bambini.
Dopo l’attacco a sorpresa di Hamas, il 7 ottobre, Israele ha ufficializzato l’assetto di guerra, assediando Gaza con lo stop definitivo a elettricità, gas, benzina e cibo.
E se l’Iran ha dichiarato di sostenere apertamente la causa palestinese con Hamas; Hezbollah (Libano) e gli Huthi (Yemen) esprimono la loro solidarietà attaccando postazioni israeliane, mentre Tel Aviv si rivolge agli Stati Uniti.
Ma in questa guerra centenaria dove si trova la ragione? Se gli israeliani inneggiano a una lotta contro il terrorismo per la difesa del proprio territorio, i palestinesi rivendicano una guerra di liberazione contro l’oppressore.
Le premesse per trovare una risposta a questa domanda sono doverose: si discute di un conflitto che in realtà affonda le sue origini nel XX secolo, quando si delinearono movimenti nazionalisti, approcci colonialisti e imperialisti, quegli stessi che hanno flagellato Africa, Medio Oriente e Asia.
Di seguito tutto quello che serve sapere riguardo le ragioni di Israele e Palestina e perché trovare una risposta a questa domanda non condurrà alla pace.
Conflitto Israelo-palestinese: quali sono le ragioni di Israele?
Attualmente Israele è stata attaccata da Hamas, un’organizzazione politica e paramilitare palestinese, islamista, sunnita e fondamentalista, considerata un’organizzazione terroristica da numerosi Paesi occidentali come Stati Uniti, Unione Europea, Canada, Giappone e Israele; mentre il Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda considerano un’organizzazione terroristica soltanto l’ala militare.
Pur avendo smantellato le proprie colonie evacuando la Striscia di Gaza nel 2005, Israele ha continuato a controllare gli accessi via terra, via mare, gli import, gli export e la corrente elettrica (per citarne alcuni), ed è per questa ragione che si continua a parlare di una Striscia “occupata”. Nel 2007 Hamas ha vinto le elezioni con l’obiettivo di liberare la Palestina, combattendo Israele anche tramite attentati terroristici: la carta costitutiva di Hamas afferma che «non esiste soluzione alla questione palestinese se non nella guerra santa», prefigurando l’esistenza di uno Stato palestinese in assenza di quello israeliano.
Da questo punto di vista, Israele si sente autorizzata a combattere chi tenta di annientare la sua esistenza, rafforzando quella retorica nazionalista sionista ed estremista che vede gli “arabi” ostili a Israele fin dalla dichiarazione d’indipendenza israeliana del 1948 e le spartizioni delle terre a fine mandato britannico, che portarono ai primi conflitti arabo-israeliani. «Il «rifiuto» arabo dell’esistenza di Israele - come scrive Gian Paolo Calchi Novati - è un dato di fatto».
Se questo è un dato, lo è anche quello delle azioni violente del governo di estrema destra del presidente Netanyahu contro i palestinesi. Basti pensare che il 2022 è stato l’anno più sanguinoso per i palestinesi della Cisgiordania dalla fine della Seconda intifada (2000-2005) a causa della violenza dei coloni contro i palestinesi. Il 2023, purtroppo, con il genocidio in corso, ha ormai superato questo macabro record.
Conflitto israelo-palestinese: quali sono le ragioni della Palestina?
E se Israele si difende dai terroristi, la Palestina inneggia a una guerra di liberazione abbracciando una lotta partigiana. Per analizzare le ragioni della Palestina bisogna però fare una premessa: Hamas non è la Palestina né la sua storia, ma un movimento politico e armato che trae forza dalla frustrazione e dai soprusi a cui sono stati soggetti i palestinesi per decenni.
Infatti, il progetto coloniale promossa dal sionismo - riconosciuto dall’Onu come forma di razzismo - nasce nel XX secolo e vede con il mandato britannico a fine della prima guerra mondiale l’opportunità di colonizzare la Palestina. Palestina (araba, cristiana ed ebrea) che si sollevò negli anni ’30 del Novecento contro l’Inghilterra, obbligando lo stato a ridurre l’emigrazione sionista.
Mentre Israele si difende dai terroristi, la Palestina inneggia a una guerra di liberazione, abbracciando una lotta partigiana. Per analizzare le ragioni della Palestina, bisogna però fare una premessa: Hamas non è la Palestina né la sua storia, ma un movimento politico e armato che trae forza dalla frustrazione e dai soprusi a cui sono stati soggetti i palestinesi per decenni.
Infatti, il progetto coloniale promosso dal sionismo – riconosciuto dall’Onu come forma di razzismo – nasce nel XX secolo e vede con il mandato britannico, alla fine della Prima Guerra Mondiale, l’opportunità di colonizzare la Palestina. Palestina (araba, cristiana ed ebrea) che si sollevò negli anni ’30 del Novecento contro l’Inghilterra, obbligando lo Stato a ridurre l’emigrazione sionista.
Dopo la tragedia dell’Olocausto, il “rifiuto arabo” della nascita di uno Stato di Israele in una terra già abitata ha alimentato – come scrive Novati – il “complesso dell’Olocausto” e fornito qualche argomento alla strategia d’attacco condotta da Israele all’“ombra dello scudo offerto dagli Stati Uniti”. Scrive ancora nel suo saggio Israele, Palestina e il diritto di autodeterminazione:
Questa asimmetria ha falsato la gestione della questione arabo-israeliana, addossando sempre agli arabi e in particolare ai palestinesi l’onere di provare le proprie ragioni, come se Israele avesse il diritto di «difendersi» con tutti i mezzi.
Ciò ha consentito a Israele negli anni di perpetrare un vero e proprio controllo della Palestina. Basti ricordare che Israele ha occupato la Striscia di Gaza per 27 anni, dal 1967 al 1994. Nonostante i noti accordi di Oslo del ’93 e ’95 stabilirono un trasferimento di autorità governative per i palestinesi, Israele mantenne il controllo dello spazio aereo, le acque territoriali, l’accesso off-shore marittimo, l’anagrafe della popolazione, l’ingresso degli stranieri, le importazioni e le esportazioni, nonché il sistema fiscale.
Come scrive il Professore Enrico Bartolomei in Sionismo come colonialismo di insediamento. La ridefinizione del discorso su Israele e Palestina, emerge una logica di “eliminazione palestinese” che si è manifestata attraverso diverse forme:
- la creazione di un insediamento ebraico separato ed esclusivo durante il periodo del Mandato;
- l’espulsione di massa dei nativi dalla terra nel 1948 e nel 1967;
- il “memoricidio” ossia la distruzione fisica del patrimonio culturale e la cancellazione di ogni traccia della presenza nativa;
- la separazione segregazione legale, fisica e spaziale;
- le politiche di de-sviluppo economico;
- la retorica e le pratiche discriminatorie e disumanizzanti;
- la negazione del diritto al ritorno dei profughi dopo i diversi conflitti;
- la soppressione brutale di ogni forma di resistenza.
tutto è peggiorato con Hamas. Israele, che non ha mai smesso di controllare l’accesso della Palestina ai servizi e beni primari, ha emesso un embargo con l’interruzione per lunghi periodi d’elettricità, di carburante e di beni essenziali, oltre che bloccando le esportazioni, a discapito della salute e istruzione dei civili palestinesi. Agli occhi dei Palestinesi, quindi, la lotta è legittimata dal bisogno di liberarsi dall’oppressore che per anni ha controllato il loro Stato e la loro vita, soffocando ogni rivolta. Proprio in questi giorni è tornato virale un video risalente all’anno scorso, di una ragazzina di 12 anni palestinese picchiata dalla polizia israeliana, perché aveva manifestato il suo dissenso: agli occhi dei palestinesi, Israele è tutto fuorché uno stato democratico.
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Perché domandarsi chi ha ragione non porterà alla soluzione
E se ognuno può trarre le proprie conclusioni su chi abbia ragione, è necessario fare un ultimo appunto: stabilire chi ha ragione in un conflitto centenario non porterà alla pace. Nel suo libro Il conflitto israelo-palestinese James Gelvin analizza come i meccanismi nazionalisti e la loro narrazione perpetuino modelli che condurranno sempre allo scontro. Il nazionalismo israeliano e palestinese si basano sullo stesso meccanismo composto in tre atti:
- Massima fioritura di un popolo che ha vissuto nella propria terra (la Palestina);
- La perdita della propria terra: la tragedia (Olocausto) l’esilio (diaspora palestinese);
- Ritornare nella terra promessa o per volontà divina (Israele) o riconquistando la terra perduta (Palestina).
In ogni caso lo scontro è inevitabile. Come nota Novati nel suo saggio, le narrazioni nazionaliste - come quelle alla base del sionismo e del nazionalismo palestinese - “ci presentano una resa distorta e incompleta della storia”. Fra israeliani e arabi c’è una distanza nell’autopercezione: Israele è “una fortezza assediata”, la Palestina è “un popolo oppresso, disperso e umiliato”
Ora siamo in un momento storico in cui se Israele riconoscesse ai palestinesi della Cisgiordania i diritti di cittadinanza, integrando la Palestina, rinnegherebbe il progetto fondativo dello Stato ebraico “tanto più se i tassi di natalità sono destinati a premiare gli arabi”; così come la spartizione delle terre (“Due popoli, due Stati”) terrebbe aperto per Israele “un problema di sicurezza”. Anche il nazionalismo palestinese sarebbe obbligato a una drastica “revisione o riconversione dalla creazione di uno Stato binazionale o de-nazionalizzato”: d’altronde uno Stato proprio e l’indipendenza nazionale sono una “condizione naturale” imprescindibile.
Israele e Palestina: le sfide per risolvere un conflitto
Al momento sembra che la storia stia dando ragione a Ilan Pappé, autore di Dieci miti su Israele, il quale ha definito la soluzione a due Stati “un cadavere”, ma allora qual è la soluzione?
Forse per troppo tempo si è polemizzato soprattutto sulle ragioni o i torti di arabi e israeliani in un’ottica storica. Ogni Paese se guarda al proprio passato non è disposto a fare rinunce. Eppure, questa drammatica guerra israelo-palestinese vede in gioco sfide post-coloniali. La soluzione potrebbe essere quella di rigettare la soluzione a due Stati e ripartire dalla “riappropriazione”: la decolonizzazione. Il rapporto tra israeliani e palestinesi deve essere quindi riformulato su una base democratica.
Forse ha ragione Novati: “Quando i palestinesi si libereranno dell’oppressione, gli israeliani si libereranno delle loro ossessioni”. Prima di questo è necessario smantellare un determinato tipo di nazionalismo che continuerà a innescare cicli di guerre senza fine. E al momento il genocidio lo sta dimostrando: l’asimmetria tra la forze palestinesi e israeliane è evidente. Senza contare che le continue violenze da parte dei coloni israeliani ai danni della popolazione civile palestinese rischia di provocare una radicalizzazione delle masse.
Ed è proprio su questa asimmetria che si è soffermato Lucio Caracciolo, fondatore di Limes, il quale ha spiegato che questa guerra finirà “quando lo deciderà Israele o quando ne avrà avuto abbastanza”. Ma quando Tel Aviv ne avrà abbastanza? Quando la Palestina e i palestinesi saranno cancellati, come si è augurato l’attuale ministro delle finanze Bezalel Smotrich, sanzionato dall’Onu per incitamento al genocidio?
In ogni caso, finché non si troveranno risposte a sfide post-coloniali, i conflitti rimarranno, così come gli attacchi a Gaza e ai civili, i quali saranno gli unici a pagarne le conseguenze.
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