La chiusura dei rubinetti del gas russo in Europa di Kiev potrebbe non essere definitiva. Ecco a che punto siamo e cosa cambia a febbraio.
L’accordo tra Kiev e Mosca per il transito del gas russo è scaduto il 31 dicembre 2024 e come anticipato non è arrivato alcun rinnovo. L’Ucraina ha chiuso i rubinetti del gas russo, colpendo così tutta l’Europa. Già dall’inizio del 2024 i Paesi hanno cominciato a pianificare delle strategie per compensare il disagio, ma alcuni fanno più difficoltà di altri. Austria, Slovacchia e Ungheria hanno concentrato le trattive con l’Ucraina per il transito di gas non proveniente dalla Russia, ma potrebbero dare una spinta a cambiamenti più importanti. Dopotutto, si tratta degli Stati più legati al gas proveniente da Mosca e quindi anche i più preoccupati dalla fine definitiva dell’accordo di transito.
Ciò non significa che gli altri possano dormire sonni tranquilli, perché la fine del trasporto in Ucraina del gas russo segna un punto di non ritorno con un impatto non indifferente per il resto del mondo. Sicuramente tutta l’Europa sarà colpita dalle ripercussioni sui prezzi, per quanto abbia lavorato incessantemente per arginare il bisogno di gas russo. Oggi l’Unione europea, come anche l’Italia, può vantare una certa solidità nell’approvvigionamento di gas da partner più stabili, tra cui la Norvegia e gli Stati Uniti. Allo stesso tempo, la chiusura del passaggio per Kiev alza la pressione sul mercato, aumentando le incertezze sulla fornitura energetica futura di molti Paesi europei.
L’indipendenza energetica dell’Europa potrebbe non essere ai livelli sperati, tanto che le pressioni dei Paesi comunitari più colpiti dalla chiusura potrebbero cambiare le dinamiche. L’avvicinarsi di febbraio 2025, il terzo anniversario dallo scoppio del conflitto in Ucraina, pare determinante in questo senso.
La chiusura dei rubinetti del gas russo in Europa
I rapporti tra Russia e Ucraina, da sempre tesi a prescindere dal conflitto che imperversa da ormai quasi 3 anni, si diramano anche per il complicato mondo delle forniture energetiche. L’accordo quinquennale firmato nel 2019 per il transito del gas russo è così rimasto in piedi anche durante la guerra e di fatto le esportazioni di Mosca non sono mai davvero cessate, sebbene diminuite notevolmente. Come aveva anticipato, tuttavia, Kiev non è disposta a rinnovare l’accordo, che si avvicina inesorabile alla fine.
L’Ucraina non ha nemmeno trattato con il Cremlino delle possibili condizioni per una proroga, scegliendo senza indugio di chiudere definitivamente i rubinetti, non senza un grande sacrificio. La stessa Kiev dovrà infatti fare i conti con maggiori difficoltà di approvvigionamento e con il mancato introito economico, tutt’altro che marginale, mentre le infrastrutture sono al limite della tenuta. L’Europa potrebbe non avere sorti nettamente migliori, visto che nonostante tutte le riduzioni ben metà del gas importato dalla Russia passa per l’Ucraina.
A che punto siamo?
Se anche gli Stati si sono preparati all’indipendenza, in particolare a livello comunitario, nessuno ha potuto definirsi davvero pronto agli imprevedibili effetti sui prezzi. Quando Denys Shmyhal, il primo ministro ucraino, ha confermato la scadenza definitiva degli accordi l’Europa ha attraversato un momento di forte tensione. Shmyhal ha però anche dichiarato un’apertura al dialogo rispetto al transito di gas proveniente da Stati diversi dalla Russia, al fine di venire incontro alle richieste dei Paesi dell’Europa occidentale. Nel frattempo, l’approvvigionamento di gas russo potrebbe trovare spazio su rotte diverse, almeno per i Paesi non comunitari.
Nel frattempo, Austria, Slovacchia e Ungheria si guardano intorno pensando alle future difficoltà di fornitura, dopo essersi assicurati delle condizioni di sicurezza per il 2025. L’Austria in particolare ha dovuto far i conti in anticipo con le interruzioni, a seguito della causa tra Omv (società energetica austriaca) e Gazprom. In tal proposito il cancelliere austriaco Karl Nehammer aveva già dichiarato di essere pronto allo stop: “Nessuna casa resterà al freddo, gli impianti di stoccaggio del gas sono sufficientemente pieni”.
Già a novembre scorso questa notizia ha agitato i prezzi del gas e nonostante la graduale riduzione delle forniture russe sia iniziata più di 2 anni fa è assai probabile che ci siano dei rialzi in arrivo. Probabilmente, gli effetti più gravosi saranno solo temporanei, ma è presto per stabilirlo con certezza. C’è prima da chiarire quali diversi accordi prenderanno i Paesi più colpiti per assicurarsi l’approvvigionamento di gas nel lungo periodo.
Gli Stati Comunitari restano comunque fiduciosi dell’indipendenza raggiunta faticosamente, soprattutto l’Italia, che tuttavia non ha mancato di sollecitare la Commissione europea, preoccupata per le ripercussioni sui costi.
Cosa potrebbe cambiare da febbraio?
La conferma della chiusura della rotta ucraina a inizio di questo 2025 è stata accolta con grande compostezza dai Paesi europei, Italia compresa. Le nostre riserve dovrebbero essere sufficienti a compensare lo stop, soprattutto perché abbiamo iniziato a diversificare le fonti di approvvigionamento con sufficiente anticipo. Le oscillazioni che questi eventi scatenano sui mercati, tuttavia, vengono pagate anche dal Belpaese. Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Picchetto, pare piuttosto preoccupato:
Negli ultimi mesi, i prezzi del gas in Italia e in Europa sono aumentati a causa di vari fattori, come la fine del contratto di transito del gas tra Gazprom e l’Ucraina e la riduzione dei flussi di gas provenienti da Algeria e Azerbaijan, nonché l’offerta stagnante di Gnl. Il prezzo è salito a 47,6 euro al megawattora, con aspettative simili per i prossimi tre mesi.
Circostanze che hanno imposto un largo sfruttamento degli stoccaggi, insieme alle condizioni climatiche che non hanno certo favorito un utilizzo moderato. Ci sono tuttavia progetti di accordo con gli Stati Uniti e il Canada che potrebbero cambiare le carte in tavola e garantire all’Italia l’indipendenza energetica sperata. Nel frattempo, tutto dipende dal proseguimento della guerra in Ucraina, quanto meno imprevedibile visto il recente insediamento di Donald Trump. Bisogna infatti sapere che l’Unione europea è determinata a comminare nuove sanzioni alla Russia, ma per farlo sarà necessario il consenso unanime di tutti gli Stati membri.
Com’è noto, l’Ungheria è sfavorevole e preferirebbe attendere le trattative del tycoon (che ha già minacciato l’inasprimento dei dazi al Cremlino per imporgli le proprie condizioni) ma potrebbe cambiare idea. In cambio, il primo ministro ungherese, Viktor Orban chiede l’aiuto dell’Ue per convincere Kiev al ripristino degli accordi di transito. Non è chiaro chi la spunterà, ma dovranno essere prese delle decisioni per febbraio 2025. Il terzo anniversario dallo scoppio del conflitto, infatti, secondo gli analisti sarà un momento determinate per le posizioni internazionali.
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