Prima dell’Arabia Saudita anche la Cina ha tentato un’imponente operazione economico-sportiva con il calcio che però non ha portato risultati di prestigio e si è sgonfiata rapidamente.
Nel 2015 la Cina fece diventare il calcio una questione di Stato. Un concetto che soprattutto negli ultimi 20 anni è stato associato a diversi paesi situati a latitudini diverse da quelle che il calcio è stato normalmente abituato a frequentare. Dal cuore dell’Europa infatti lo spostamento è stato sempre più verso est, non solo a livello di investimenti, ma anche di strategia complessiva di utilizzo del calcio per scopi che allargassero, e di molto, i confini del senso sportivo della disciplina. In principio fu la Russia, ma più o meno una decina d’anni fa fu la Cina a fare notizia per un piano imponente voluto dal governo per rendere il calcio cinese migliore e nuova frontiera dello sport mondiale.
A 10 anni di distanza fa una certa impressione notare come di tutti quei piani ambiziosi sia rimasto ben poco. La Nazionale cinese continua ad avere un ruolo piuttosto marginale nella mappa calcistica mondiale, il campionato è tornato ad essere scarsamente affollato di nomi altisonanti, o quanto meno conosciuti dalle nostre parti. Molti che avevano fatto il salto in Oriente, attratti da contratti e cifre eccezionali, sono tornati indietro mentre qualcuno è rimasto, ma non è stato in grado di tracciare una strada percorsa anche da altri. E così il piano in 50 punti annunciato da Xi Jinping nel 2015 è rimasto solo un progetto tanto ambizioso, quanto solamente abbozzato nei suoi primi passaggi.
L’annuncio del piano, poi il dietrofront
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