Clima, rivolta di pmi e agricoltori contro l’Ue: “Dimezzare le emissioni nel 2030 è impossibile, rischio chiusure a raffica”

Giacomo Andreoli

10/11/2022

Capobianco (Conflavoro pmi) e Giansanti (Confagricoltura) spiegano a Money.it che i target climatici devono essere compatibili con la crisi energetica e invocano l’intervento del governo Meloni.

Clima, rivolta di pmi e agricoltori contro l’Ue: “Dimezzare le emissioni nel 2030 è impossibile, rischio chiusure a raffica”

Un taglio delle emissioni inquinanti di gas serra del 43,7% entro il 2030. Prevede questo per l’Italia l’accordo raggiunto due giorni fa tra Consiglio e Parlamento Ue sul regolamento “Effort sharing regulation”, che fa parte del pacchetto sul clima, il cosiddetto “Fit for 55”. Un sforzo che riguarda agricoltura, trasporti, edifici e piccola industria e supera di gran lunga il target nazionale annuale, pari al 33%.

Nulla di definitivo, visto che l’intesa deve essere approvata dal Parlamento europeo e dal Consiglio Ue. Il contributo più basso sarà della Bulgaria (10%), il più alto della Svezia (50%). La combinazione degli sforzi di riduzione a livello nazionale dovrà consentire un taglio delle emissioni che a livello europeo sarà del 40%.

In Italia, però, è già rivolta del mondo agricolo e industriale. Secondo Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, e Roberto Capobianco, presidente di Conflavoro pmi, il target europeo è “praticamente impossibile da raggiungere”, soprattutto in una situazione in cui “manca la liquidità delle aziende e ci sono difficoltà nel competere con mercati esteri”, visti i costi altissimi delle bollette di gas e luce. Le associazioni di categoria, quindi, parlano di obiettivi importanti, ma “virtuali”, senza “aggancio all’economia reale”, invocando l’intervento del governo Meloni per evitare “chiusure a raffica”.

Clima, cosa prevede l’accordo Ue sulle emissioni

L’accordo europeo è molto articolato e prevede alcune modalità tecniche di attuazione con eccezioni e “compravendita” di emissioni tra Stati membri. Se in un anno le emissioni nazionali fossero inferiori alle assegnazioni di emissioni, i Paesi potrebbero depositare fino al 75% della loro assegnazione per quell’anno agli anni successivi, fino al 2030. E ancora, entro il 2029 si possono far slittare il 25% delle assegnazioni di emissioni annuali agli anni subito successivi al 2030.

Anche al contrario, se si supera il target annuo, si potrebbero prendere in prestito le assegnazioni dall’anno successivo, fino al 7,5% delle emissioni entro il 2025 e poi fino al 5%. Ma alla fina va sempre raggiunto l’obiettivo entro il 2030. Infine sarebbe possibile comprare e vendere assegnazioni di emissioni tra gli Stati, fino al 10% annuale entro il 2025 e dopo fino al 15%. Le rimozioni di gas serra nel settore dell’uso del suolo e della silvicoltura porterebbero poi a dei crediti sfruttabili per diminuire il target al 2030.

Taglio delle emissioni: “Obiettivo insostenibile vista la crisi”

Secondo Capobianco, la riduzione del 43,7% rispetto ai livelli del 2005 “non è sostenibile a seguito della pandemia e durante questo periodo di caro energia, durante il quale il reinvestimento industriale è difficile”. Il presidente di Conflavoro pmi riporta il racconto di diversi imprenditori, che “tutti i giorni hanno paura di entrare in azienda, per bollette troppo alte da pagare che possono arrivare alla fine del mese: ieri a un nostro associato ne è arrivata una da 147mila euro di bolletta, il triplo dell’anno scorso”.

Questo accade in una situazione in cui alle aziende “manca la liquidità, c’è un netto calo delle commesse, le fiere non vanno bene e c’è difficoltà nel competere con mercati esteri, perché siamo più penalizzati di altri Paesi come Spagna, Portogallo, Grecia o Turchia”. Insomma, “le aziende italiane devono far uscire i prodotti con prezzi troppo alti e la marginalità è ridotta al minimo”.

“In 24 anni ottenuti risultati minori”

Per Giansanti “gli obiettivi europei sul clima sono importanti, ma bisogna tenere conto della realtà in cui le imprese operano: non considerare che la guerra e la crisi energetica hanno cambiato il quadro è sbagliato”. Il presidente di Confagricoltura parla di una “crisi epocale, soprattutto nell’ambito dell’approvvigionamento delle materie prime: gli agricoltori devono produrre di più cercando di preservare le risorse naturali, con minore disponibilità di fertilizzanti”.

Poi fa notare che il settore agricolo italiano ha tagliato del 24% le emissioni inquinanti negli ultimi 24 anni. “Pensare di fare in 8 anni più di quello che siamo riusciti a fare in 20 - attacca - è quasi impossibile. In Europa si guarda più a un mondo virtuale, mentre serve aggancio all’economia reale”.

La richiesta al governo Meloni di tempi più lunghi

Entrambi chiedono al governo Meloni di intervenire in sede europea per cambiare l’accordo e dilazionare i tempi. Per Capobianco bisognerebbe portare il target del 43,7% almeno al 2040, prevedendo contemporaneamente un aiuto concreto per la riconversione industriale tramite il Pnrr e non solo.

Chiediamo cose concrete - spiega - un nuovo fondo Sure europeo per rendere le piccole e medie imprese più efficienti e nuove detrazioni specifiche al livello nazionale. Vanno rimodulati gli attuali sostegni e creato un nuovo Superbonus sia per la parte industriale che per quella delle strutture: serve coprire almeno il 50% degli investimenti in magazzini, uffici, capannoni e macchinari innovativi, oltre il piano industria 4.0

Quindi boccia l’attuale credito d’imposta voluto dal governo Draghi, che “considerato il triplicare dei prezzi non ha coperto che un quinto del costo delle bollette”. Accanto a questo chiede: il taglio del cuneo fiscale, premi e superminimi dei lavoratori non tassati o non sottoposti a contribuzione, ridurre il peso di contribuzione e tassazione su straordinari e aumentare il limite d’imposta per il welfare aziendale.

La difesa del settore zootecnico

Quanto al settore agricolo, invece, Giansanti ricorda che al momento un’azienda su tre è ancora a rischio chiusura e critica chi come Greenpeace propone di cambiare il sistema di allevamento e coltivazione per ridurre l’inquinamento. “Troppo semplice - dice - attaccare il settore zootecnico adducendo che inquina: non c’è attività economica che non partecipa alle emissioni, ma l’agricoltura, a differenza di altri, contribuisce in modo significativo ad abbattere le emissioni di anidride carbonica, grazie alla capacità degli agricoltori, all’uso di boschi e delle colture proteiche, che tolgono CO2 dall’atmosfera”.

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