Chi si aggiudica un immobile all’asta deve sapere del carattere speculativo della rivendita prima dei cinque anni dalla data dell’acquisto, al fine dell’imposizione tributaria.
Chiunque, compreso chi si è aggiudicato la proprietà di un immobile all’asta, è bene che sappia dell’esistenza dell’art. 76 della legge 29 settembre 1973 n. 597, che prevede una conseguenza alla rivendita degli immobili prima dei cinque anni dalla data dell’acquisto.
Una simile operazione, infatti, può essere considerata a carattere speculativo e deve, quindi, essere sottoposta a imposizione tributaria.
Il legislatore ha stabilito la presunzione di intento speculativo quando si procede alla vendita di immobili non destinati all’utilizzo personale da parte dell’acquirente e dei suoi familiari, se il periodo di tempo intercorrente tra l’acquisto e la vendita è inferiore a cinque anni, cosicché i relativi proventi dovranno essere esposti nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui la vendita avviene ed essere sottoposti alla relativa tassazione ai fini dell’Irpef.
L’importo tassabile è determinato dalla differenza tra il prezzo di acquisto e il prezzo della successiva vendita infraquinquennale (cosiddetta plusvalenza).
Analizziamo i vari aspetti.
La rivendita della casa comprata all’asta
Le eccezioni all’intento speculativo
Tale presunzione di intento speculativo ha, però, un’importante eccezione: non ricorre quando l’oggetto della vendita è un immobile destinato all’utilizzo personale dell’acquirente e dei suoi familiari.
Al di fuori di questa importante eccezione, la presunzione di intento speculativo opera senza alcuna possibilità di prova contraria.
Pertanto, gli elementi che concorrono a dar vita alla presunzione assoluta di intento speculativo sono, da una parte, il non superamento di un certo intervallo temporale fra acquisto e vendita (cinque anni) e, dall’altro, la non destinazione all’uso personale dell’acquirente e dei suoi familiari.
Quanto sopra significa, quindi, che se un soggetto privato acquista un immobile all’asta giudiziaria e lo destina ad abitazione propria e dei suoi familiari, potrà rivenderlo in qualsiasi momento, senza alcuna conseguenza fiscale.
Se, invece, acquista l’immobile all’asta, ma non lo utilizza quale abitazione sua e dei suoi familiari, potrà sempre rivenderlo quando vuole, ma, se compirà l’alienazione entro i cinque anni dal decreto di trasferimento che ha concluso l’asta, dovrà pagare le tasse sulla differenza tra il prezzo di acquisto ed il prezzo di vendita, senza nessuna possibilità di prova contraria perché l’intento speculativo sarà presunto juris et de jure.
È interessante notare che l’impossibilità di fornire la prova contraria si estende anche a quelle ipotesi in cui l’aggiudicatario-proprietario non abbia potuto utilizzare l’immobile, quale abitazione propria e dei suoi familiari, per il fatto del terzo o per forza maggiore e, quindi, in conseguenza di fattori evolutivi della società, quali la composizione dei nuclei familiari, il loro reddito, la crescita o il calo demografico, i movimenti migratori, i tempi tecnici e burocratici necessari per costruire nuove abitazioni, i tassi di interesse dei mutui, la normativa sulle locazioni, oppure a causa dell’occupazione dell’immobile da parte del debitore escusso.
Ancora, può segnalarsi che è stato considerato legittimo, dalla specifica giurisprudenza, che la plusvalenza non tenga conto del fenomeno della svalutazione monetaria verificatosi nell’intervallo quinquennale previsto dalla legge.
La plusvalenza realizzata sul bene immobile acquistato all’asta
L’acquisto di un bene immobile a una vendita giudiziaria comporta un esborso di denaro, che rappresenta per il soggetto, fisico o giuridico che sia, un costo.
La successiva vendita, nell’ottica di comprare all’asta e rivendere, determina un flusso opposto: un ricavo. La plusvalenza non è altro che la differenza tra il ricavo e il costo e, eventualmente, le spese sostenute purché inerenti.
Esprimendola in formula:
plusvalenza = ricavo – costo (- spese inerenti sostenute) |
Tale plusvalenza è trattata differentemente se realizzata da persona fisica o persona giuridica. Nel caso di persona giuridica, una società di capitali per esempio, rientra nei redditi (o ricavi) d’impresa e come tale soggetta a tassazione ordinaria.
In caso di persona fisica, la plusvalenza è tassata:
- al 26%, direttamente in atto dal notaio;
- in dichiarazione dei redditi: assoggettandola quindi agli scaglioni Irpef.
Esistono però delle condizioni al verificarsi delle quali nulla è dovuto sulla plusvalenza realizzata:
- vendita effettuata dopo 5 anni;
- vendita effettuata a seguito di eredità;
- vendita della prima casa. In questo caso è obbligatorio, entro 12 mesi, destinare un altro immobile a prima casa.
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I divieti assoluti per la rivendita di immobili acquistati all’asta
Esistono alcune norme che, espressamente, vietano la vendita degli immobili acquistati prima del decorso di un certo periodo di tempo.
Tra queste, ad esempio, vi è l’art. 35, commi 15 e 19, della l. 22 ottobre 1971 n. 865, relativa al divieto temporaneo, a pena di nullità, di alienazione di alloggi costruiti su aree comprese nei piani per l’edilizia economica popolare (Peep) e cedute in proprietà ai comuni.
Si tratta di una norma dettata dal legislatore per prevenire l’eventualità che le agevolazioni concesse nel quadro di una politica abitativa di interesse sociale, possano trasformarsi in un inammissibile strumento di speculazione e, quindi, posta a tutela dell’ordine pubblico.
Alla estrema rigidità di questa legge, è stato introdotto un temperamento con l’art. 20 della legge 17 febbraio 1992 n. 179, il quale ha consentito l’autorizzazione alla vendita degli alloggi di edilizia agevolata per gravi e sopravvenuti motivi dopo il decorso di cinque anni dall’assegnazione e dall’acquisto.
Alla questione se i divieti normativi in parola possano essere trasferiti dal proprietario-debitore all’aggiudicatario, sembra si debba dare risposta affermativa, perché l’acquisto della proprietà in capo all’aggiudicatario avviene a titolo derivativo e non a titolo originario, secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione.
In altre parole, l’aggiudicatario si porta dietro le caratteristiche della proprietà che tipicizzavano quella del precedente proprietario.
Donare la casa aggiudicata all’asta
Nel nostro ordinamento giuridico, il legislatore ha consentito di donare una casa all’asta a un soggetto che non ha partecipato alla vendita giudiziaria.
In pratica, si applicano le medesime regole che disciplinano i trasferimenti immobiliari sul mercato tradizionale; il bene aggiudicato all’asta giudiziaria e poi donato a un parente (ad esempio un figlio) si considera come se fosse avvenuto a seguito di un normale atto di compravendita.
La donazione potrà avvenire soltanto dopo il decreto di trasferimento (atto che sancisce il definitivo passaggio di proprietà dal debitore esecutato all’aggiudicatario).
I vari passaggi sintetizzati:
- aggiudicarsi la casa oggetto d’asta;
- ottenere il decreto di trasferimento;
- recarsi da un notaio;
- pagare le imposte.
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