In caso di contrasti con il fisco è possibile tentare un accordo oppure iniziare un contezioso tributario. Di seguito gli strumenti utilizzabili
Quando il contribuente riceve una cartella con accertamento fiscale ha diverse strade di fronte a sé, in particolare può accettare ed effettuare il pagamento richiesto oppure può contestare e aprire così il contenzioso tributario.
Si tratta di una procedura che si discosta dal classico rito civile, anche perché la controparte non è un privato ma un soggetto pubblico o che agisce per il pubblico, ad esempio un’agenzia di riscossione.
Occorre sottolineare fin da ora che il contenzioso tributario può avere anche un costo piuttosto importante, inoltre il legislatore è impegnato a ridurre la mole di ricorsi che arrivano davanti al giudice e quindi ha introdotto misure deflattive, cioè volte a risolvere in “via amichevole” i contrasti con il contribuente.
Tra le principali novità introdotte (art. 39, c.9, del dl n.98 del 2011) vi è la conversione automatica del ricorso in reclamo/mediazione per le controversie che hanno valore non superiore a 50.000 euro. Inoltre, anche dopo il primo grado di giudizio è possibile avvalersi della conciliazione giudiziale.
Contenzioso tributario: come funziona e come evitarlo
Cos’è e come funziona il contenzioso tributario
Il contenzioso tributario è un procedimento che mira a risolvere una controversia tra un contribuente e un ente impositore. Questo può avere diverse motivazioni, ad esempio: il contribuente può impugnare una cartella esattoriale emessa dal Comune per la riscossione della Tari perché ritiene che la stessa non sia dovuta o che sia dovuta in misura diversa. Questo naturalmente è solo un esempio.
Il contenzioso tributario in Italia, come per le altre tipologie di processo, prevede tre gradi di giudizio. Il primo deve essere proposto davanti alla Commissione tributaria provinciale. In seguito a emissione della sentenza, è possibile proporre appello davanti alla Commissione tributaria regionale, che è giudice di secondo grado. In alternativa è possibile proporre il ricorso “per saltum”, in questo caso viene saltato un grado di giudizio e, attraverso la sentenza della commissione tributaria provinciale, si propone ricorso in Cassazione.
Questa possibilità è ammessa solo dal 1° gennaio 2016, ma solo nel caso in cui ci sia accordo tra le parti e nel caso in cui il ricorso abbia come oggetto questioni di diritto.
Ricordiamo che i motivi di ricorso in Cassazione sono comunque limitati, vedremo a breve quando è possibile presentare ricorso in tale sede. A questo punto, occorre sottolineare che le Commissioni tributarie non sono organo monocratico, ma collegiale, composto da presidente, vice presidente e da almeno altri 4 membri.
La prima cosa da fare è delimitare il campo del contenzioso tributario. Dal punto di vista soggettivo, è possibile proporre ricorso avverso atti emessi:
- dall’Agenzia delle Entrate;
- dall’Agenzia Dogane e Monopoli;
- dalle regioni;
- dagli enti locali;
- dalle camere di commercio;
- da altri enti impositori;
- dagli agenti di riscossione;
- da soggetti iscritti all’albo per l’accertamento e la riscossione delle entrate degli enti locali.
Rientrano nella giurisdizione delle Commissioni tributarie:
- controversie relative a tributi di ogni genere e specie, compresi quelli regionali, comunali e provinciali. Onoltre possono essere impugnati atti che contengono sovrimposte, sanzioni e interessi relativi comunque a tali tributi;
- controversie di natura catastale, ad esempio controversie inerenti il classamento dei terreni e dei fabbricati, l’attribuzione della rendita catastale, intestazione, delimitazione e estensione dei terreni;
- controversie aventi oggetto il canone comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni.
Cosa fare per evitare il contenzioso fiscale
Il contenzioso fiscale non è di fatto lo strumento preferito dagli italiani per difendersi da “pretese fiscali”, questo per diversi motivi, tra cui le lungaggini delle procedure. Inoltre ci sono altri elementi che portano il processo tributario a essere poco apprezzato. Ad esempio: proporre il ricorso non sospende gli effetti giuridici dell’atto impugnato. Il contribuente può richiedere tale sospensione sia al momento della proposizione del ricorso, sia con atto separato, ma solo nel caso riesca a provare che dal pagamento potrebbe derivare un danno grave e rilevante.
Questo vuol dire che chiedere la sospensione non equivale a ottenerla. Nel caso in cui la sospensione sia inerente a sanzioni, se il contribuente fornisce idonea garanzia con fideiussione bancaria o assicurativa, il giudice è tenuto a concederla. In ogni caso la sospensione deve essere decisa entro 180 giorni dalla presentazione dell’istanza.
Un altro deterrente è rappresentato dal fatto che al momento della presentazione del ricorso è necessario versare il contributo unificato il cui ammontare dipende dal valore della causa. Se il valore della causa non può essere definito, il contributo unificato ammonta a 120 €, negli altri casi:
- fino a 2.582,28 €: 30 €;
- da 2.582,28 a 5.000 €: 60 €;
- da 5.000 a 25.000 €: 120 €;
- da 25.000 a 75.000 €: 250 €;
- da 75.000 a 200.000 €: 500 €;
- oltre 200.000 €: 1.500 €.
I contribuenti che non indicano il valore della causa devono versare il contributo unificato pari a 1.500 €, si presume quindi che il valore sia massimo.
Il valore della causa deve essere determinato sommando le somme contestate, ad esempio maggiore imposta dovuta, interessi e sanzioni.
A queste spese devono essere sommate quelle per le spese legali, ricordiamo che solo per contenziosi di valore inferiore a 3.000 € il contribuente può stare in giudizio da solo, naturalmente appare abbastanza improbabile per chi non ha conoscenze tecniche.
Fatta questa premessa, è possibile individuare due tipologie di strumenti deflattivi volti a evitare il contenzioso, vediamo ora quelli disponibili prima della proposizione del ricorso e in seguito quelli che invece possono essere esperiti dopo la presentazione dei ricorso.
Il primo strumento è l’accertamento con adesione, questo può essere proposto dal contribuente prima del ricorso oppure dalla stessa amministrazione finanziaria. Si tratta di un vero e proprio accordo tra contribuente e amministrazione che comporta anche una riduzione delle sanzioni e, nel caso in cui il fatto costituisca anche reato penale, l’accertamento con adesione ha un effetto premiale con abbattimento della pena.
Un altro strumento è l’acquiescenza. Questa prevede che colui che riceve un avviso di accertamento può rinunciare alla presentazione del ricorso e ottenere in cambio la riduzione di 1/3 delle sanzioni. Sottolineiamo che la riduzione riguarda solo le sanzioni non l’imposta dovuta o la maggiore imposta. Per poter procedere è necessario anche che il contribuente rinunci successivamente a presentare la richiesta di accertamento con adesione e che paghi gli importi concordati entro il termine per la presentazione del ricorso. Non attenendosi a queste regole, decade dal beneficio.
Nel caso in cui sia l’Amministrazione finanziaria a rendersi conto di avere commesso un errore nell’accertamento inviato, può agire in autotutela andando quindi ad annullare l’atto. Naturalmente, trattandosi di un ravvedimento, deve provenire dalla stessa amministrazione che ha adottato l’atto.
Tra gli strumenti deflattivi c’è anche il ravvedimento operoso, questo è attuato dal contribuente che, prima di un eventuale accertamento, resosi conto di aver commesso degli errori nella dichiarazione, procede alla correzione degli stessi e, se dovuta, paga la maggiore imposta.
Quali sono le fasi del processo tributario
Possiamo quindi brevemente indicare le fasi del processo tributario. Una volta presentato il ricorso si svolge il primo grado di giudizio davanti alla Commissione tributaria provinciale.
Solitamente in primo grado la controversia è trattata in camera di consiglio alla presenza delle parti. Durante i 10 giorni liberi antecedenti la data della trattazione, è possibile per le parti richiedere la trattazione in pubblica udienza, tale istanza può essere proposta anche contestualmente al ricorso. Con l’entrata in vigore del decreto legge 119 del 2018 è prevista per le parti la possibilità di partecipazione all’udienza a distanza. La richiesta deve essere proposta in fase di ricorso oppure nel primo atto difensivo. In ogni caso deve essere assicurata la contestuale, reciproca, effettiva visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e di ascoltare ciò che viene detto. Il collegamento audiovisivo deve quindi funzionare perfettamente.
La sentenza è resa pubblica attraverso deposito della Commissione tributaria entro 30 giorni dalla deliberazione, entro 10 giorni dal deposito della deliberazione deve essere depositato anche il dispositivo. Le parti devono quindi provvedere alla notifica alla controparte.
Da questo momento, cioè dalla notifica della sentenza, iniziano a decorrere i 60 giorni per poter presentare appello alla Commissione tributaria provinciale. Se nessuno provvede a notificare la sentenza all’altra parte, i termini previsti per proporre appello sono più lunghi: 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza. Entro 30 giorni dalla proposizione del ricorso in appello si deve provvedere al deposito del ricorso stesso.
Se la sentenza di primo grado è favorevole al contribuente, l’amministrazione finanziaria soccombente deve immediatamente attivarsi per dare esecuzione al dispositivo.
Le sentenze della Commissione tributaria regionale possono essere impugnate davanti alla Corte di Cassazione, ma soltanto per questioni di diritto e non di merito.
I motivi del ricorso sono:
- motivi inerenti la giurisdizione (ad esempio, si ritiene che la questione debba essere posta davanti ad altro giudice, come il Tar);
- violazione delle norme sulla competenza (ad esempio, competenza territoriale);
- violazione o falsa applicazione di norme del diritto;
- nullità della sentenza o del procedimento;
- omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione.
Come si presenta ricorso tributario
Il processo tributario inizia con il ricorso, occorre stare molto attenti ai termini anche quando si esercitano le professioni legali perché non mancano casi errori anche provenienti dai professionisti.
Entro 60 giorni decorrenti dal momento in cui il contribuente ha ricevuto l’atto è necessario proporre ricorso alla competente commissione tributaria provinciale. L’atto deve essere notificato all’ufficio che lo ha emanato. Entro 30 giorni dalla notifica del ricorso, il contribuente deve costituirsi in giudizio.
I termini sono sospesi nel periodo feriale che va dal primo al 31 agosto.
Nel caso in cui la controversia abbia ad oggetto domande di rimborso presentate all’Agenzia delle Entrate a cui non è stata data risposta, i termini per presentare ricorso iniziano a decorrere trascorsi 90 giorni dalla data di presentazione della richiesta.
A pena di inammissibilità, nell’atto devono essere indicati:
- la Commissione tributaria a cui è diretto il ricorso;
- l’ufficio nei cui confronti è proposto ricorso (individuarlo è semplice perché in ogni atto dell’amministrazione finanziaria c’è l’indicazione del soggetto verso cui presentare ricorso e i termini);
- le generalità del ricorrente (compreso codice fiscale) e del suo legale rappresentante, la relativa residenza e sede legale o il domicilio eletto;
- l’indirizzo di posta elettronica certificata e codice fiscale del rappresentante legale (l’assenza non comporta inammissibilità);
- l’atto impugnato (ogni atto ha un codice e deve essere utilizzato in modo da individuare l’atto impugnato);
- l’oggetto della domanda;
- i motivi dell’impugnazione.
Il ricorso deve essere sottoscritto a pena di inammissibilità dello stesso. La sottoscrizione deve essere presente nella copia originale e in quelle destinate alle controparti. Nel ricorso, deve essere presente anche la procura al difensore che può mancare solo nel caso in cui il valore della causa non superi i 3.000 euro.
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All’atto della costituzione in giudizio è necessario anche depositare la nota di iscrizione a ruolo che deve contenere dati inerenti:
- le parti;
- il difensore;
- l’atto impugnato;
- la materia del contendere;
- il valore della controversia;
- la data di notifica del ricorso.
Dal primo luglio 2019 vige l’obbligo di notificare il ricorso e l’appello con gli strumenti telematici. Gli stessi sono disponibili dal 15 luglio 2017, ma fino al 31 agosto 2019 l’uso era facoltativo. Per fare ciò è necessario utilizzare il Sistema Informativo della Giustizia Tributaria (Sigit), previa registrazione e indicazione della casella di posta elettronica certificata presso la quale avvengono le notifiche. Per registrarsi al sistema telematico è necessario anche essere in possesso di una firma digitale valida.
Il Sigit consente non solo di depositare i ricorsi e gli altri atti processuali, ma anche di accedere al fascicolo processuale informatico del processo e consultare i relativi atti, tra cui quelli del giudice.
Le procedure telematiche possono essere disattese dai soggetti che decidono di stare in giudizio senza difensore. In questo caso, il ricorso può essere consegnato a mano, con plico raccomandato senza busta o tramite l’ufficiale giudiziario. Tali soggetti possono costituirsi in giudizio depositando o trasmettendo l’originale del ricorso alla commissione tributaria.
A questo punto occorre sottolineare che il decreto legislativo 156 del 2015 ha previsto la possibilità di farsi assistere nel processo tributario anche da un dipendente dei Caf ( Centri di Assistenza Fiscale). Vi sono però delle condizioni:
- deve trattarsi della persona che ha prestato assistenza per gli adempimenti fiscali che poi hanno dato luogo all’accertamento fiscale;
- deve avere una laurea in giurisprudenza, in economia o equipollenti o un diploma di ragioneria e aver conseguito l’abilitazione professionale.
Quali sono gli strumenti deflattivi del contenzioso tributario?
Si è parlato in precedenza degli strumenti deflattivi antecedenti alla proposizione del ricorso. Ora vediamo gli strumenti utilizzabili in corso.
Nelle controversie di valore non superiore a 20.000 € (elevato a 50.000 € dal decreto 50 del 2017) la presentazione del ricorso produce gli effetti del reclamo e può contenere una proposta di mediazione attraverso una rideterminazione dell’ammontare. Grazie al decreto legislativo 156 del 2015, la mediazione/reclamo non si applica più solo agli atti dell’Agenzia delle Entrate, ma anche a quelli dell’Agenzia Dogane e Monopoli, enti locali, agenti di riscossione e concessionari della riscossione.
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L’istruttoria è attribuita ad appositi uffici determinati in base all’ente che emette l’atto, e comporta la possibilità per il contribuente di ottenere una riduzione delle sanzioni amministrative del 35%. L’accordo di mediazione si conclude con la sottoscrizione delle parti e il pagamento entro 20 giorni delle somme concordate.
In caso di mancato rispetto dei termini, le somme a base dell’accordo possono essere riscosse coattivamente dall’amministrazione finanziaria.
Un ulteriore strumento di deflazione a processo avviato è la conciliazione giudiziale, che può essere proposta dalla Commissione tributaria oppure dalle parti.
Le novità 2022 sulla riforma
Il processo tributario come ora visto, a breve potrebbe però essere radicalmente modificato. Il governo ha infatti approvato il disegno di legge di riforma del processo tributario.
La prima importante novità è l’introduzione del magistrato tributario nominato per concorso (attualmente i magistrati ordinari esercitano anche le funzioni di giudice tributario). A ciò si aggiunge la devoluzione al giudice monocratico (quindi non più il collegio giudicante) delle controversie di primo grado di valore inferiore a 3.000 € (ad esclusione delle cause di valore indeterminabile). L’obiettivo è snellire il carico giudiziario pendente.
Con la riforma si va verso il superamento del divieto di prova testimoniale nel contenzioso tributario. In particolare, viene introdotta la testimonianza in forma scritta. Per aumentare la deflazione, la proposta di riforma prevede anche la possibilità per il giudice di proporre la conciliazione sia in udienza, sia fuori udienza. Naturalmente queste sono solo alcune delle novità previste.
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