Anche pensionati e dipendenti devono dimostrare al Fisco la provenienza dei versamenti sul conto corrente in relazione all’accertamento delle imposte sui redditi. La conferma dalla Cassazione.
Quando il Fisco accerta una maggiore disponibilità di reddito attraverso accertamenti sul conto corrente, il contribuente ha l’onere di provare che i versamenti e tutti i movimenti bancari non si riferiscono a operazioni imponibili.
In genere, è opinione comune che a essere più colpite dai controlli dell’Amministrazione Finanziaria siano solo alcune categorie di lavoratori autonomi, tra cui imprenditori e professionisti.
La Corte di Cassazione nell’ordinanza n.18245/2022 ribalta questa convinzione e stabilisce che anche lavoratori dipendenti, i privati e i pensionati possono essere chiamati a giustificare i versamenti sospetti che non trovano riscontro nei redditi dichiarati dal contribuente. Vediamo un caso specifico.
Accertamento sul conto corrente: la normativa
La normativa di riferimento in tema di accertamento bancario è quella contenuta nell’art.32 del dpr n.600/1973 e stabilisce che l’onere della prova è soddisfatto attraverso i dati analitici e gli elementi risultanti dai conti correnti forniti dal contribuente. Si tratta quindi di una inversione dell’onere della prova che grava sul contribuente.
In altre parole, per tutti i movimenti bancari (accrediti e addebiti) sussiste la presunzione legale che siano riconducibili all’attività economica del contribuente e spetta all’interessato fornire la prova contraria (Ctp Rieti n. 191/2021; cfr. Cass. nn. 16996/2021; 34171/2019).
Il caso esaminato dalla Cassazione
Il caso esaminato dalla Corte di Cassazione riguarda un accertamento fiscale sui versamenti in conto corrente che il contribuente non ha giustificato analiticamente come previsto dall’art.32 del dpr n.600/1973. La Commissione tributaria di primo grado di Bolzano aveva rigettato il ricorso del contribuente.
Con l’ordinanza n.18245/2022, i giudici di Piazza Cavour hanno confermato la presunzione legale che i versamenti ingiustificati su conto corrente vadano imputati a reddito anche se effettuati da dipendenti e pensionati.
Fatta salva la possibilità per il contribuente di fornire la prova contraria da sottoporre al giudice di merito, questi dovrà pronunciarsi sulla riferibilità di ogni versamento.
Nel caso in esame, la Cassazione non ha ritenuto valide le informazioni fornite dal contribuente, che ha provato solo gli accessi alle case da gioco, rigettando il ricorso e considerando i versamenti ingiustificati come un maggior reddito.
L’ordinanza conferma dunque che i versamenti sul conto corrente presumono una maggiore disponibilità reddituale, anche quando effettuati da dipendenti, da privati e da pensionati, salvo prova contraria resa attraverso un’idonea giustificazione.
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