Cosa significa “too big to fail”? I rischi collegati alle banche “troppo grandi per fallire”

Claudia Cervi

28/03/2023

Le crisi di Credit Suisse e SVB mettono in evidenza il rischio delle banche «too big to fail». Ecco perché sono diventate troppo grandi e quali sono le conseguenze per l’economia globale.

Cosa significa “too big to fail”? I rischi collegati alle banche “troppo grandi per fallire”

«Too big to fail» è diventata un’espressione celebre durante la crisi finanziaria del 2008, dopo il fallimento di Lehman Brothers. Si riferisce alle banche considerate troppo grandi e importanti per l’economia globale per poter fallire senza conseguenze catastrofiche, a causa della loro interconnessione con altre banche e del loro ruolo cruciale nel mantenere l’equilibrio del sistema finanziario ed economico.

Il rischio associato alle banche «troppo grandi per fallire» risiede nella possibilità che il fallimento causi un collasso finanziario globale, costringendo i governi a intervenire per salvarle. La recente crisi di Credit Suisse ha evidenziato ancora una volta questo rischio.

In questo articolo analizzeremo il ruolo delle banche «too big to fail» nel sistema finanziario internazionale e come Fed e Bce hanno gestito i rischi attraverso l’introduzione di normative e regolamentazioni specifiche. Vedremo anche come la crisi del 2008 e gli eventi successivi, fino alla vicenda di Credit Suisse, abbiano plasmato il mondo finanziario.

Cosa significa «too big to fail»

L’espressione «too big to fail» (troppo grande per fallire) ha origini più antiche del fallimento di Lehman Brothers: è stata coniata negli anni ’80 durante la crisi bancaria negli Stati Uniti. In particolare, la crisi della Continental Illinois National Bank and Trust Company nel 1984 ha portato alla decisione di salvare la banca poiché si riteneva che il suo fallimento avrebbe avuto un impatto catastrofico sull’intero sistema bancario e sull’economia degli Stati Uniti. Questo è stato il primo caso in cui una banca è stata considerata troppo grande per fallire e quindi salvata con i soldi dei contribuenti.

L’espressione «too big to fail» è stata utilizzata per descrivere questa situazione e da allora è stata spesso utilizzata per riferirsi a banche o altre istituzioni finanziarie che sono considerate di importanza sistemica per l’economia e che quindi non possono essere lasciate fallire senza conseguenze gravi e imprevedibili.

Cosa significa «too big to fail»? Cosa significa «too big to fail»? L'infografica di Money.it

Perché le banche sono diventate troppo grandi per fallire

Il processo di deregolamentazione bancaria e di consolidamento attraverso acquisizioni e fusioni avviatosi con la fine degli anni ’80 ha portato alla nascita delle cosiddette «Wide Banks», banche universali sempre più grandi e complesse che sono diventate centrali per il funzionamento dell’economia globale.

Se da un lato questo sistema ha aumentato l’efficienza dei mercati e degli intermediari eliminando le barriere alla liquidità tra mercati interdipendenti, ha determinato di conseguenza una maggiore instabilità del sistema stesso.

Le grandi banche universali sono diventate troppo grandi per fallire, soggette alla presunzione del too big to fail, ovvero del poter contare su interventi pubblici di salvataggio per evitare fallimenti.

Ciò ha creato un problema di azzardo morale (moral hazard), in cui le banche hanno meno incentivi ad essere attente alla valutazione del rischio e sono più inclini a sostenere rischi maggiori, portando così a un aumento del rischio sistemico, cioè del rischio che una crisi in una grande banca possa causare un effetto domino che si ripercuote su tutto il sistema finanziario.

Possiamo dunque sintetizzare le ragioni principali per cui le banche sono diventate troppo grandi per fallire in tre punti:

  • In primo luogo, il consolidamento bancario è stato spinto dalla deregolamentazione e dalla globalizzazione dei mercati finanziari, che hanno permesso alle banche di espandersi a livello internazionale e di offrire una vasta gamma di prodotti e servizi finanziari.
  • In secondo luogo, la concentrazione bancaria è stata accentuata dalle restrizioni interstatali negli Stati Uniti, che hanno impedito alle banche di aprire filiali in altri stati. Questo ha portato ad una maggiore concentrazione di banche in singoli stati o regioni, il che ha reso difficile trovare una banca in grado di acquisire una banca in difficoltà e di evitare così il suo fallimento.
  • Infine, il modello di business delle banche è diventato sempre più complesso e interconnesso, con una maggiore attenzione alle attività di trading e alla gestione di derivati finanziari. Queste attività sono diventate centrali per i guadagni delle banche, ma anche più rischiose e difficili da gestire, portando a un aumento del rischio sistemico.

Quali banche sono troppo grandi per fallire?

Dopo il fallimento della banca d’affari americana Lehman Brothers, i Paesi del G20 hanno istituito il Financial Stability Board (FSB), un organo di controllo globale che collabora attivamente con altri organismi quali la Banca dei Regolamenti Internazionali, il Comitato di Basilea per la Vigilanza Finanziaria e il FMI. Dal 2011 il FSB pubblica l’elenco delle banche classificate di rilevanza sistemica e lo aggiorna annualmente.

Le grandi banche incluse nell’elenco del Financial Stability Board sono considerate troppo grandi per fallire in quanto un loro crollo avrebbe conseguenze disastrose per l’intero sistema finanziario, l’economia reale, le imprese e le famiglie. Per questo motivo, queste banche devono rispettare dei requisiti più severi e devono mantenere maggiori riserve di capitale rispetto ad altre istituzioni finanziarie. Inoltre, sono soggette a una vigilanza più rigorosa.

Attualmente, l’elenco del Financial Stability Board comprende 30 banche, tra cui UBS e Credit Suisse, JPMorgan Chase e Bank of America negli Stati Uniti, Barclays nel Regno Unito, Bnp Paribas in Francia, Santander in Spagna, ING in Olanda, Unicredit in Italia e Deutsche Bank in Germania.

Elenco dell’FSB delle banche classificate di rilevanza sistemica
Aggiornato al novembre 2022

I rischi sistemici e finanziari associati alle banche «too big to fail»

Le banche «troppo grandi per fallire» sono considerate a rischio sistemico perché la loro eventualità di fallimento potrebbe provocare gravi conseguenze per l’intero sistema finanziario e l’economia reale, con conseguenze potenzialmente disastrose per imprese e famiglie. Inoltre, il rischio finanziario associato a queste banche è ritenuto superiore rispetto ad altre banche, poiché la loro dimensione, la complessità delle loro attività e la loro interconnessione con altri attori del mercato finanziario aumentano la probabilità di eventi avversi.

Ad esempio, una grande banca potrebbe sperimentare problemi di liquidità e di solvibilità che potrebbero essere il risultato di perdite derivanti da operazioni sconsiderate o da investimenti a rischio eccessivo. Ciò potrebbe portare ad un effetto domino, in cui altre banche potrebbero anche essere colpite dalle conseguenze di tali perdite, creando una crisi di fiducia nel sistema bancario nel suo complesso. Una situazione simile è avvenuta a marzo 2023 con il fallimento delle banche della Silicon Valley e di altre banche regionali americane: la loro crisi di liquidità ha scatenato il panico anche in Europa colpendo istituti come Credit Suisse e Deutsche Bank che tuttavia non avevano problemi di liquidità.

Inoltre, se la grande banca in questione è coinvolta in operazioni speculative rischiose, come il trading ad alta frequenza o altre operazioni ad alto rischio, l’aumento della volatilità sui mercati finanziari potrebbe causare una crisi di mercato.

Infine, la presenza di banche «troppo grandi per fallire» può creare problemi di concorrenza, poiché queste banche godono di una reputazione di maggiore sicurezza, che potrebbe dar loro un vantaggio competitivo rispetto alle altre banche. Ciò potrebbe portare ad una maggiore concentrazione del mercato bancario, con la conseguente riduzione della concorrenza, dell’innovazione e del livello di servizio e qualità dell’offerta bancaria per i consumatori.

Per questi motivi, le banche «too big to fail» sono soggette a un’attenta regolamentazione e supervisione da parte delle autorità di vigilanza, e sono tenute a soddisfare requisiti più rigorosi in termini di riserve di capitale, liquidità e governance, al fine di mitigare i rischi sistemici e finanziari associati alle loro attività.

La gestione dei rischi delle banche «too big to fail» da parte di Fed e Bce

La gestione dei rischi delle banche «troppo grandi per fallire» è una delle principali preoccupazioni delle autorità di regolamentazione finanziaria come la Federal Reserve (Fed) negli Stati Uniti e la Banca Centrale Europea (Bce) nell’Unione Europea. Ciò è dovuto alla natura sistemica di queste banche e al fatto che il loro crollo potrebbe avere ripercussioni significative sull’economia nel suo complesso.

A partire dal 2008 sono state approvate oltre 40 diverse normative, volte a far fronte al trade-off tra instabilità ed efficienza nel sistema bancario. Le proposte di riforma si sono sviluppate in tre direzioni complementari.

La prima riguarda le riforme strutturali, volte a scindere il sistema bancario tra banche commerciali e banche d’investimento, per limitare l’azzardo morale dovuto al too big to fail e rendere il risparmiatore consapevole delle remunerazioni e dei rischi connessi alla scelta tra banca commerciale e banca d’affari. Questa misura si basa sulla logica di isolare attività finanziarie ritenute rilevanti per l’economia reale o significative per motivi di tutela dei risparmiatori, dai rischi derivanti da attività potenzialmente rischiose e meno importanti.

La seconda riguarda la reintroduzione di più stringenti vincoli patrimoniali per le banche, attraverso nuovi standard in materia di capitale e di liquidità. Ad esempio, la Dodd-Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act, approvata nel 2010 negli Stati Uniti, ha introdotto una serie di requisiti prudenziali per le banche «troppo grandi per fallire», tra cui la definizione di requisiti di capitale, liquidità e leva finanziaria. La legge ha inoltre creato un consiglio di vigilanza finanziaria, il Financial Stability Oversight Council, per monitorare la stabilità finanziaria del sistema nel suo complesso.

Analogamente, l’Unione Europea ha implementato la regolamentazione di Basilea III, che ha definito standard prudenziali per la gestione dei rischi per le banche «troppo grandi per fallire». Questi standard includono requisiti di capitale, liquidità e leva finanziaria, così come l’implementazione di meccanismi di sorveglianza e valutazione del rischio per le banche sistemiche.

Infine, sono state introdotte nuove regole per gestire le crisi bancarie in modo più efficace e ridurre il coinvolgimento del denaro pubblico, ossia dei contribuenti. Queste nuove regole stabiliscono le condizioni per cui una banca può essere soggetta a una procedura di risoluzione e gli strumenti che possono essere utilizzati per risolvere la crisi. Gli strumenti includono la vendita di parte dell’attività a un acquirente privato, il trasferimento temporaneo delle attività e passività a una banca ponte, la trasferimento delle attività deteriorate a una banca cattiva e l’applicazione del bail-in, che significa svalutare azioni e crediti per ricapitalizzare la banca in difficoltà. Queste nuove regole sono state adottate per evitare che i contribuenti debbano sostenere i costi delle crisi bancarie. La maggior parte dei paesi del G20 ha recepito queste nuove regole.

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