Cosa succede ai lavoratori dipendenti se l’azienda fallisce?

Simone Micocci

02/04/2018

Il dipendente di un’azienda fallita non viene licenziato automaticamente: come ricordato da una recente sentenza di Cassazione, infatti, la decisione finale spetta al curatore fallimentare.

Cosa succede ai lavoratori dipendenti se l’azienda fallisce?

Il fallimento di un’azienda è un evento che nessun titolare d’impresa vorrebbe mai vivere sulla propria pelle e lo stesso vale per i dipendenti.

Anche un contratto a tempo indeterminato, infatti, non vi mette al riparo dal licenziamento, poiché in caso di fallimento dell’azienda il rapporto di lavoro viene immediatamente sospeso e il rischio di cessazione è molto alto.

Almeno inizialmente il contratto non cessa definitivamente, ma viene interrotto fino a quando il curatore fallimentare non deciderà il da farsi; è a questo, infatti, che spetta la difficile decisione sul futuro dei dipendenti impiegati nell’azienda che ha dichiarato fallimento.

È stata la Corte di Cassazione - con la sentenza n°7308/2018 - a spiegare cosa succede ai dipendenti di un’azienda dopo il fallimento; una pronuncia importante perché ribadisce che il licenziamento è probabile, ma mai automatico.

Cosa succede ai dipendenti di un’azienda fallita?

Come descritto dalla legge fallimentare n°267/1942, una volta che il giudice dichiara il fallimento dell’azienda viene nominato un curatore che si occuperà dell’esercizio provvisorio e della liquidazione di tutti i debitori.

Con la pronuncia del giudice invece tutti i rapporti di lavoro in essere vengono momentaneamente sospesi; il licenziamento dei dipendenti quindi non è automatico, ma questi non potranno comunque andare a lavoro fino a quando il curatore fallimentare non si esprimerà in merito al loro futuro.

È il curatore, infatti, a decidere quali dipendenti sono utili nella fase di esercizio provvisorio dell’azienda. Ad esempio, ci potrebbe essere bisogno di vendere le rimanenze di un magazzino, oppure della manutenzione degli impianti, operazioni che potranno essere eseguite solamente dal personale impiegato prima del fallimento dell’azienda.

Questo non significa che il curatore deve confermare tutto il vecchio staff; può decidere infatti di licenziarne una parte e di proseguire il rapporto di lavoro solamente con le figure indispensabili per mandare avanti l’azienda in questa fase delicata.

Una volta che riprendono a lavorare i dipendenti - tutti o una parte - torneranno a percepire lo stipendio, poiché nel periodo in cui il contratto di lavoro è stato sospeso non si ha diritto ad alcuna retribuzione.

Naturalmente questo stato di incertezza non può durare per sempre poiché il dipendente sospeso ha il diritto di conoscere il prima possibile quale sarà la decisione del curatore. A tal proposito l’articolo 72 della legge fallimentare permette al lavoratore di “mettere in mora il curatore” così da far decidere al giudice delegato un termine - “non superiore ai 60 giorni” - entro il quale il rapporto di lavoro si intende sciolto.

È bene sottolineare comunque che anche l’eventuale licenziamento deciso dal curatore fallimentare deve essere disposto nel rispetto della legge. Quindi, bisogna rispettare le norme sui licenziamenti individuali e collettivi, altrimenti il dipendente ha diritto al risarcimento del danno.

Cosa succede al TFR?

I dipendenti di un’azienda che sta per fallire oltre ad essere preoccupati per il loro futuro lavorativo temono anche per la perdita del TFR (trattamento fine rapporto).

Questo infatti deve essere accantonato dal datore di lavoro e liquidato al dipendente una volta che il rapporto professionale si interrompe. Ma come fa il titolare di un’azienda fallita ad avere abbastanza liquidità per pagare il TFR ai propri lavoratori? Molto probabilmente non la ha, tuttavia non per questo il lavoratore perde il diritto alla liquidazione o ad eventuali stipendi non pagati.

In caso di fallimento, infatti, interviene il Fondo di Garanzia dell’INPS a pagare il TFR e le ultime tre mensilità arretrate. Per richiedere quanto vi spetta di diritto dovrete seguire - possibilmente supportati da un avvocato - le seguenti operazioni:

  • inviare l’istanza di ammissione allo stato passivo al curatore fallimentare;
  • attendere la dichiarazione di stato passivo da parte del giudice delegato;
  • presentare la copia autentica dello stato passivo all’INPS, allegando una certificazione della cancelleria di assenza di opposizioni, il modello SR52, la copia autentica del decreto che ha deciso l’eventuale azione di opposizione o impugnazione e la copia della domanda di ammissione al passivo completa di documentazione.

Una volta che l’istanza verrà presentata - completa di tutta la documentazione - tramite la modalità telematica, l’INPS provvederà a pagare quanto richiesto dal dipendente e verificato dal giudice.

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