Covid, cosa succederà dopo Omicron: il modello per prevedere la pericolosità delle nuove varianti

Claudia Mustillo

17 Agosto 2022 - 10:15

È stato scoperto come la proteina Spike della variante Omicron interagisce con gli anticorpi: i dettagli dello studio.

Covid, cosa succederà dopo Omicron: il modello per prevedere la pericolosità delle nuove varianti

La variante Omicron è ancora la più diffusa in Italia, famosa proprio per la sua elevata trasmissibilità e per la capacità di eludere gli anticorpi. Uno studio italiano fornisce «una possibile interpretazione della maggiore facilità di trasmissione della variante Omicron».

È stato scoperto come la proteina Spike della variante Omicron interagisce con gli anticorpi dell’uomo, che sarebbero in grado di riconoscerla anche se sono venuti a contatto con le versioni precedenti del virus.

A dimostrarlo e spiegarlo è uno studio svolto dall’Istituto di scienze dell’alimentazione (Isa) del Consiglio nazionale delle ricerche di Avellino e il Dipartimento di chimica e biologia «A. Zambelli» dell’Università di Salerno. Lo studio voleva appunto dimostrare la capacità degli anticorpi, entrati in contatto con altre varianti del virus, di riconoscere la proteina Spike della variante Omicron di Sars-CoV-2 e comprendere come questa interagisce con il recettore ACE2, cioè la via di ingresso nelle nostre cellule.

Come Omicron interagisce con le nostre difese immunitarie: lo studio

Lo studio, pubblicato su «Molecules», si basa sull’ideazione di un’innovativa procedura bioinformatica automatizzata in grado di simulare l’interazione della proteina Spike nella variante Omicron con gli anticorpi prodotti dal nostro organismo. È stato, quindi, possibile ottenere dei modelli dell’interazione di questa proteina Spike con gli anticorpi sulla base di oltre 150 modelli molecolari di complessi Spike-anticorpo già noti per le precedenti varianti del virus e analizzare le caratteristiche dell’interazione, evidenziando come la nuova proteina Spike possa essere riconosciuta o meno dagli anticorpi sviluppati contro le vecchie varianti.

"Il lavoro svolto ha dimostrato che molti anticorpi già presenti nel nostro organismo possono riconoscere anche la proteina Spike della variante Omicron, sebbene con alcune differenze nelle interazioni molecolari che si possono formare. Inoltre, studiando anche il meccanismo d’interazione con il recettore ACE2, abbiamo evidenziato alcune differenze rispetto alla proteina Spike delle varianti precedenti, offrendo una possibile interpretazione della maggiore facilità di trasmissione della variante Omicron”, ha spiegato Angelo Facchiano (Cnr-Isa), responsabile dello studio assieme ad Anna Marabotti per l’Università di Salerno.

Una ricerca, spiegano gli autori, che potrà avere un’importante implicazione anche in caso di comparsa di nuove varianti: la procedura realizzata, infatti, è in grado di simulare le sostituzioni di amminoacidi presenti nelle varianti e di fornire una previsione degli effetti in termini di capacità di contrastare l’infezione da parte delle difese immunitarie offerte dagli anticorpi nell’organismo.

Uno studio che potrebbe, quindi, aiutare nel comprendere anche la capacità di trasmissione della nuova sottovariante Centaurus, che potrebbe avere una capacità di contagio quasi doppia rispetto a quella di Omicron (l’erre con zero di Omicron è stimato tra 15 e 17).

La sottovariante si caratterizza proprio per le nove mutazioni della proteina Spike e questo permetterebbe al virus una grande evasività all’immunità del vaccino e delle precedenti infezioni. Con il nuovo studio si potrebbe comprendere l’impatto che la nuova variante può avere anche in vista dell’arrivo dell’autunno, quando i contagi potrebbero risalire dopo la fine dell’ondata estiva.

“Con questa procedura sono state sufficienti poche settimane dalla scoperta della variante Omicron e dalla dichiarazione di ’Variant Of Concern’ da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per ottenere i risultati circa le interazioni degli anticorpi: è quindi uno strumento che potrà essere efficacemente messo a disposizione della comunità scientifica in caso di nuove varianti del virus”.

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