Cassazione: dare del gay a qualcuno non è reato. Ecco i perché della sentenza

Anna Maria D’Andrea

30 Novembre 2016 - 11:33

Dare del gay a qualcuno non è reato, a stabilirlo la Corte di Cassazione con la sentenza 50659. Ecco le motivazioni della pronuncia della Corte.

Cassazione: dare del gay a qualcuno non è reato. Ecco i perché della sentenza

Dare del gay a qualcuno non è reato. Ad affermarlo e a stabilire il nuovo principio è la Corte di Cassazione che con la sentenza 50659 pronunciata il 29 novembre stabilisce che offendere una persona attribuendole l’appellativo gay non è sanzionabile dal codice penale.

La Cassazione ha accolto il ricorso di un uomo che aveva usato l’appellativo gay nei confronti di un conoscente e che era stato accusato di diffamazione dal Giudice di Pace. Ad oggi, si legge nella sentenza, non si può più considerare l’appellativo come lesivo dell’onore di una persona, si tratta di un giudizio non in linea con l’andamento della società e con la parificazione dei diritti in atto tra etero ed omosessuali.

E pensare che 9 anni prima la stessa Cassazione, con la sentenza 10248, aveva invece espresso parere opposto, condannando per ingiuria un ragazzo che aveva usato la parola gay in una lettera. Adesso però, a fronte dei notevoli cambiamenti della società, anche la Suprema Corte è chiamata ad aggiornarsi e a rivedere i propri pareri.

Insomma, i tempi cambiano e di conseguenza il parere della Corte di Cassazione, che si mostra ancora una volta molto attenta e al passo con i tempi nel registrare anche le evoluzioni linguistiche. Vediamo i dettagli dell’interessante vicenda e i perché della sentenza della Cassazione che ha stabilito che dare del gay a qualcuno non è reato.

Cassazione: dare del gay a qualcuno non è reato. I motivi della sentenza

La parola gay, omosessuale non è un reato e, soprattutto, non può essere considerata un offesa. Questo il succo della sentenza pronunciata dalla Corte di Cassazione in favore di un uomo accusato, dal Giudice di Pace, di ingiuria nei confronti di un conoscente.

D’altro canto, afferma la Cassazione, considerare l’appellativo gay un reato punibile ai sensi del codice penale sarebbe come andare controcorrente rispetto all’andamento della società e allo stato di riconoscimento dei diritti in favore degli omosessuali.

Da oggi si può dare del gay a qualcuno senza il timore di essere puniti dalla legge. La Cassazione rigetta le motivazioni del Giudice di Pace, considerando la sua pronuncia “non al passo con i tempi”. Ad oggi la parola gay non è un’offesa, poiché non si può più considerare come lesivo della reputazione l’attribuzione di un gusto e di una preferenza sessuale che sta, gradualmente, conquistando spazio e diritti impensabili fino a qualche anno fa.

Ecco le motivazioni della Cassazione contenute nel testo della sentenza:

«è innanzi tutto da escludere che il termine “omosessuale” utilizzato dall’imputato abbia conservato nel presente contesto storico un significato intrinsecamente offensivo come, forse, poteva ritenersi in un passato nemmeno tanto remoto. A differenza di altri appellativi che veicolano il medesimo concetto con chiaro intento denigratorio secondo i canoni del linguaggio corrente (cfr. Sez. 5 n. 24513 del 22 giugno 2006, Merola non massimata), il termine in questione assume infatti un carattere di per sè neutro, limitandosi ad attribuire una qualità personale al soggetto evocato ed è in tal senso entrato nell’uso comune. 3.3.2 E’ da escludere altresì che la mera attribuzione della suddetta qualità – attinente alle preferenze sessuali dell’individuo – abbia di per sé un carattere lesivo della reputazione del soggetto passivo e ciò tenendo conto dell’evoluzione della percezione della circostanza da parte della collettività, quale che sia la concezione dell’interesse tutelato che si ritenga di accogliere.» Sent. Cassazione n. 50659

Cassazione: dare del gay a qualcuno non è reato. La legge si adegua alla società

Ben attenta non solo alle parole ma anche, ovviamente, al progresso della società e di conseguenza delle leggi, la Cassazione afferma che se è vero che lo Stato ha intrapreso un percorso normativo per il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali, nello specifico con la Legge Cirinnà, l’attributo gay o omosessuale non può essere considerato più un’offesa dalla coscienza comune.

Sarebbe come riconoscere una differenza tra omosessuali ed etero, principio che la Cassazione dimostra di disdegnare e di voler procedere, al contrario, verso il riconoscimento della parità di diritti anche dal punto di vista delle possibili connotazioni linguistiche.

La sostanza è che per tutti gli uomini che si sentiranno offesi dall’attribuzione dell’appellativo gay bisognerà mettersi l’anima in pace: non si potrà difendere il proprio “onore” davanti alla giustizia. Cosa contraria se invece vengono usati appellativi offensivi tipici del gergo popolare.

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