Gli utility token emessi o ceduti per ottenere sconti su servizi sono un’operazione fuori campo Iva, così come il mining. Quali differenze con i voucher? Arrivano i chiarimenti dell’Agenzia Entrate.
Gli utility token emessi o ceduti per ottenere sconti su servizi sono un’operazione fuori campo Iva. A dirlo è l’Agenzia delle Entrate nella risposta ad interpello n. 507 del 12 ottobre 2022 che fornisce chiarimenti in merito al trattamento Iva e spiega le differenze rispetto ai voucher (o buoni corrispettivo).
Cosa sono gli utility token
Gli utility token vengono utilizzati da start up o aziende per finanziare un progetto e rappresentano dei beni digitali che offrono ai titolari la possibilità di accedere a un determinato prodotto o servizio a un prezzo scontato.
In altre parole, l’utente che acquista un utility token tramite la tecnologia blockchain, finanzia l’iniziativa della società in cambio di uno sconto per l’acquisto di beni o servizi da essa forniti.
A una prima lettura, gli utility token presentano analogie con i voucher. Tuttavia, l’Agenzia chiarisce che alcuni tipi di utility token non possono essere assimilati ai voucher ai fini Iva.
Prima di spiegare il perché, vediamo nel dettaglio cosa sono i voucher o buoni corrispettivi.
Cosa sono i voucher o buoni corrispettivi
A disciplinare i voucher è l’articolo 6-bis D.P.R. 633/1972 che lo definisce come uno strumento che prevede “l’obbligo di essere accettato come corrispettivo o parziale corrispettivo a fronte di una cessione di beni o di una prestazione di servizi e che indica, sullo strumento medesimo o nella relativa documentazione, i beni o i servizi da cedere o prestare o le identità dei potenziali cedenti o prestatori, ivi incluse le condizioni generali di utilizzo ad esso relative”.
In sintesi, gli elementi essenziali di un voucher sono:
- l’obbligo di essere accettato dal potenziale fornitore come corrispettivo o parziale corrispettivo di una cessione di beni o di una prestazione di servizi;
- l’indicazione dei beni/servizi che consente di acquistare o, in alternativa, l’identità dei potenziali fornitori.
Differenze tra utility token e voucher
Secondo le Entrate, gli utility token sono dei documenti di legittimazione, così come definiti dall’art. 2002 Codice Civile, che conferiscono al portatore il diritto di ottenere uno sconto per l’acquisto di un bene o servizio dall’emittente.
A differenza del voucher, però, l’utility token non fornisce dettagli sufficientemente chiari sui beni e o i servizi a cui darebbe diritto , né tantomeno sui fornitori che partecipano alla filiera.
Inoltre, quando opera come criptovaluta, l’utility token viene considerato come un servizio di pagamento e assume uno scopo diverso da quello del voucher. Proprio perché il suo scopo è suscettibile di modifica, è difficile definire la funzione dell’utility token al momento della sua emissione.
Utility token fuori campo Iva
Nella risposta a interpello del 12 ottobre, l’Agenzia si allinea dunque al parere della Commissione europea espresso in due Working Paper del 2019 e 2020, secondo cui "la disciplina dei buoni corrispettivo non dovrebbe applicarsi a quegli utility token la cui natura cambia dopo l’emissione per diventare - soprattutto in caso di inutilizzo - una moneta virtuale o uno strumento d’investimento, suscettibile di essere negoziato su un mercato secondario in cambio di un profitto”.
La difficoltà di determinare in sede di ICO se un utility token sia un voucher piuttosto che uno strumento di pagamento o altro e la conseguente impossibilità di stabilire il relativo trattamento Iva sono espresse anche dall’OCSE nel «Taxing Virtual Currencies: An Overview of Tax Treatments and Emerging Tax Policy Issues» del 12 ottobre 2020.
Ne consegue che la cessione degli utility token non assume rilevanza ai fini Iva in quanto non costituisce né una cessione di beni né una prestazione di servizi.
Solo quando l’utente utilizzerà il token per acquistare a prezzo scontato il servizio dell’azienda emittente, verrà applicata l’IVA con l’aliquota della prestazione di servizio ricevuta.
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