Sai dove finiscono i vestiti usati che lasci nei cassoni gialli?

Luna Luciano

14 Novembre 2024 - 19:45

I vestiti usati nei cassonetti gialli dovrebbero essere destinati alle famiglie più bisognose, ma alcune inchieste hanno svelato qual è il loro vero destino. Ecco chi si sta arricchendo.

Sai dove finiscono i vestiti usati che lasci nei cassoni gialli?

Consegnare i propri vestiti ai cassonetti gialli per destinarli alle famiglie più bisognose è sicuramente un’intento nobile; peccato però che non tutti gli abiti che finiscono in questi contenitori arrivino a destinazione.

Dal 1 gennaio 2022 in Italia è scattato l’obbligo della raccolta differenziata dei rifiuti tessili, anticipando la normativa europea che prevede l’attivazione della raccolta separata di questo tipo di rifiuto a partire dal 2025.

I cassonetti per riciclare i vestiti usati in realtà esistono da più di vent’anni sul territorio italiano e hanno come obiettivi quelli di ridurre i rifiuti tessili e finanziare progetti di solidarietà, creando nuove opportunità lavorative; tuttavia anche dietro essi si nascondono verità poco gradevoli.

La filiera dei vestiti usati, infatti, non è sempre così trasparente come si potrebbe pensare. I cittadini, convinti di contribuire a una causa benefica, non sempre sono consapevoli del destino finale dei capi che depositano in questi cassonetti.

Una recente indagine ha cercato di fare luce su questa realtà nascosta, utilizzando un GPS cucito in una giacca donata a uno dei contenitori gialli presenti nell’area metropolitana di Milano. Il viaggio di quell’indumento ha rivelato una rete complessa di compravendita e di destinazioni spesso inaspettate.

Questo percorso mette in discussione il reale impatto sociale e ambientale di questo settore, evidenziando le falle di un sistema che, al di fuori dei confini cittadini, sfugge a controlli rigorosi. Ecco che fine fanno gli abiti usati nei cassonetti gialli e perché.

Abiti usati: dai cassonetti gialli alle casse della criminalità organizzata

La raccolta di abiti usati attraverso i cassonetti gialli viene presentata come un processo virtuoso. Gli abiti raccolti sono destinati a mercati di seconda mano e donazioni e, in effetti, i primi passaggi sembrano seguire questa logica.

A Milano, città in cui la raccolta tessile è obbligatoria dal 2022, il sistema è gestito da enti del terzo settore che assicurano trasparenza e certificazioni antimafia e che ogni giorno raccolgono decine di tonnellate di vestiti usati. Tuttavia, come ha rivelato un’indagine aperta nel 2019 attraverso il viaggio della giacca monitorata con GPS, la realtà è diversa.

Dopo la raccolta iniziale, gli abiti spesso seguono un percorso che, superati i confini cittadini, è regolato esclusivamente dal mercato. È in questo contesto che si perde traccia delle finalità solidali. Spesso è qui che alcune aziende comprano i vestiti a circa 50 o 40 centesimi al kg, per poi far sì che ogni capo fosse rivenduto dai 3 ai 5 euro. Un business che, in realtà, va ad arricchire aziende spesso legate alla criminalità organizzata.

Il singolo capo di seconda mano può passare “di mano in mano”, attraversando più rivendite; ma una parte di essi non viene realmente smaltita in luoghi consoni ed p destinata alla “Terra dei Fuochi” in Campania, tristemente nota per la gestione illecita dei rifiuti.

Invece di contribuire a una causa nobile, alcuni capi finiscono così in mercati grigi o in contesti dove l’etica è secondaria al profitto. La mancanza di controlli a livello nazionale espone questo settore a infiltrazioni e a una logica di sfruttamento che privilegia il guadagno rispetto alla sostenibilità ambientale e sociale.

Abiti usati non in beneficienza: chi ci guadagna davvero?

La ricerca e le diverse inchieste che negli anni si sono susseguite hanno messo in evidenza un aspetto spesso ignorato: il mercato degli abiti usati è un settore redditizio, che muove milioni di euro.

Spesso i cassonetti della Caritas sono in realtà contenitori dai quali diverse aziende ricavano materiale tessile da rivendere e destinano all’ente ecclesiastico solidale solo pochi euro rispetto agli introiti ricavati.

Molti dei vestiti donati vengono rivenduti, con un ciclo di compravendita continuo che non ha alcuna finalità sociale. Il sistema si basa su una catena di attori che acquistano e rivendono questi capi in vari mercati, spesso all’estero.

I vestiti che non trovano una collocazione nel mercato secondario locale finiscono in Paesi con normative ambientali meno stringenti o, nel peggiore dei casi, vengono abbandonati in aree già afflitte dalla presenza di rifiuti illegali.

La filiera degli abiti usati diventa così un’opportunità di guadagno per soggetti privi di intenti solidaristici e vicini a pratiche poco trasparenti. Questo modello mette in crisi la fiducia dei cittadini, che donano in buona fede.

Le implicazioni etiche ed ecologiche di questa gestione sono rilevanti: anziché contribuire a ridurre l’impatto ambientale, i vestiti rischiano di amplificarlo, alimentando il traffico illecito di rifiuti.

Argomenti

# Moda
# Mafia

Iscriviti a Money.it