Fare causa alla banca potrebbe essere il modo ideale per far valere le proprie ragioni. Si tratta però di una scelta che va ponderata anche in base ai costi e benefici.
Negli ultimi anni sono stati oltre 20.000 i risparmiatori che hanno fatto ricorso contro le banche, il doppio rispetto al 2015. Il maggior numero di ricorsi all’Arbitro sono stati nel Sud Italia, con 8.900 richieste, mentre solo 5.600 al Centro e 7.000 al Nord.
Ma in quali casi si può fare causa a una banca?
Come fare causa alla banca
Perché fare causa a una banca
Uno dei motivi per i quali è possibile intentare causa alla banca è sicuramente riconducibile all’anatocismo, un’operazione bancaria con la quale vengono a capitalizzarsi gli interessi maturati sul saldo del cliente debitore.
Una seconda opzione è data dall’esercizio di usura e dall’applicazione di tassi di interesse “troppo elevati”. Si tratta di una condotta illecita disciplinata dall’art. 644 del Codice Penale, ai sensi del quale è penalmente perseguibile chiunque, in corrispettivo di una prestazione in denaro, si fa dare o promettere, per sé o per altri, interessi o vantaggi usurai.
Di diversa concezione sono gli interessi moratori. Questi non si pongono quale strumento speculativo, bensì possono definirsi una conseguenza dello stato inadempiente del cliente debitore nei confronti dell’obbligazione pecuniaria contratta. In pratica, gli interessi di mora sono una maggiorazione del costo di rimborso del credito in caso di inadempienza.
Ora che abbiamo inquadrato le eventuali fattispecie che identificano condotte bancarie illecite o illegittime, possiamo soffermarci sulle diverse tutele previste dal nostro ordinamento. Come per qualsiasi controversia, anche nei rapporti con la banca, è possibile scegliere tra la via giudiziale o extra-giudiziale.
Al riguardo, solitamente il cliente danneggiato può procedere con una diffida, con la quale far valere le proprie pretese alla banca, avvisandola dell’intenzione di procedere in via giudiziale. Con tale azione si potrà tentare di trovare un accordo immediato, cercando, tramite una transazione, di velocizzare l’iter e risparmiare i diversi costi di un processo.
In caso contrario si potrà procedere con il ricorso in via giudiziale, a partire dalla mediazione.
Il tentativo obbligatorio di mediazione
Se la via extra-giudiziale di un accordo privato non dovesse sortire l’effetto desiderato, si potrà optare per l’avvio di una causa alla banca. Questa prevede una fase preliminare obbligatoria, rappresentata dalla mediazione: strumento molto pratico per tentare un’intesa davanti a un soggetto terzo, ossia il mediatore.
In questa fase le parti dovranno essere assistite da un avvocato. Saranno i legali a firmare l’eventuale accordo di conciliazione, che avrà efficacia di titolo esecutivo. L’organismo di mediazione coinvolto deve essere uno di quelli presenti nel luogo del giudice territorialmente competente per l’eventuale causa.
Per evitare la causa, si può cercare di raggiungere un accordo stragiudiziale dinanzi la Camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob, la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa.
La legge consente questa possibilità in caso di controversie tra i risparmiatori o gli investitori non professionali e le banche o gli altri intermediari finanziari, circa l’adempimento degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza previsti nei rapporti contrattuali con la clientela aventi come oggetto servizi di investimento o di gestione del risparmio (fondi comuni) collettivi.
Detto ciò, anche se obbligatoria, la mediazione non necessariamente deve dare buon esito. Infatti, può accadere che le parti in causa non ne abbiano interesse, o non trovino un accordo soddisfacente. In questi casi, si deve procedere con la causa davanti al Tribunale competente. Al suo termine, il giudice si pronuncerà con sentenza nel rispetto delle competenze di valore, materia e territorio previste per il processo ordinario.
Il cliente, in qualità di attore, sarà tenuto ad anticipare una serie di costi, tra i quali si annoverano:
- il contributo unificato che viene periodicamente aggiornato (nel primo grado di giudizio, varia da 43 euro a 1.686 euro, a seconda del valore della causa);
- le spese di notifica;
- i bolli (27 euro);
- il costo di un perito.
Alle stesse si affiancheranno poi i diversi costi di un processo, comprese ovviamente le spettanze per l’assistenza legale o per le consulenze tecniche di parte.
Il ricorso all’Arbitro Bancario Finanziario
Accanto all’ipotesi giudiziale, l’ordinamento ha istituito l’Arbitro Bancario Finanziario (Abf), il quale si presenta come strumento di risoluzione alternativa. L’Arbitro è un organo collegiale autonomo e imparziale, chiamato a decidere su controversie coinvolgenti clienti consumatori e banche o altri intermediari finanziari.
L’Arbitro è presente in 7 città italiane e ci lavorano in totale 113 membri scelti da diversi organi. Di questi, 55 sono selezionati dalla Banca d’Italia, 34 dal Conciliatore BancarioFinanziario, 19 dal Consiglio Nazionale dei Consumatori e 5 da Confindustria. Dal 5 febbraio 2018, Il ricorso è possibile solo online.
Per fare ricorso è necessario fare reclamo alla banca, che dovrà rispondere entro 30 giorni dalla ricezione della segnalazione. Se poi non si è soddisfatti della risposta, si può ricorrere all’Arbitro entro 12 mesi dalla presentazione del reclamo alla banca. Per farlo, bisogna registrarsi al portale dedicato Abf, compilare il form con i propri dati e seguire le istruzioni. L’Arbitro quindi contatterà la banca, che avrà a disposizione 45 giorni per dare risposta. L’Arbitro dovrà poi esprimere un giudizio entro 60 giorni.
Si tratta, dunque, di una figura chiamata a sostituirsi al giudice nella valutazione del singolo caso concreto. Rispetto al Tribunale, l’arbitro ha sicuramente costi più bassi e tempistiche più brevi: il ricorso tramite Abf costa 20 euro. Tuttavia, si tratta di un organo dalla decisione non vincolante.
Molto brevemente, possiamo dire che si può ricorrere all’Arbitro ogni volta che ci troviamo davanti a una problematica (quale la violazione di un diritto da parte di una banca) attinente a un rapporto contrattuale con un intermediario finanziario in essere o già concluso. Ad esempio, è possibile ricorrere a tale organo in tutti quei casi in cui la controversia riguardi un conto corrente, un prestito personale o un mutuo (di un valore non superiore a €100.000,00).
I documenti necessari per fare causa alla banca
Per fare causa alla banca occorre, come prima cosa, raccogliere tutta la documentazione possibile per dimostrare il torto subito. È importante sapere che la banca è obbligata a procurare al cliente tutta la documentazione da lui richiesta tramite raccomandata. Il cliente ha diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine, e comunque non oltre 90 giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi 10 anni.
Quindi, entro 90 giorni la banca deve fornire al cliente ogni dettaglio delle operazioni svolte. Ma solo nell’arco degli ultimi 10 anni: è questo, infatti, il termine di prescrizione per fare causa alla banca, calcolato dalla data di chiusura del conto corrente. Se il conto è ancora aperto, non ci sono limiti di tempo per fare causa alla banca.
Di significativo rilievo è una recentissima sentenza della Corte Suprema in merito all’obbligo di esibire in giudizio (ex art. 210 c.p.c.), a richiesta del cliente, gli estratti conto da parte della banca.
La Corte di Cassazione, sezione I civile (con la sentenza 8 giugno-13 settembre 2021, n. 24641), ha ribadito che l’articolo 119, quarto comma, del Testo unico bancario, pone una disposizione di natura sostanziale. O meglio: il diritto del cliente di ottenere dall’istituto bancario la consegna di copia della documentazione relativa alle operazioni dell’ultimo decennio prescinde dall’utilizzazione che il cliente intende fare della documentazione (Cass. 19 ottobre 1999, n. 11733; Cass. 13 luglio 2007, n. 15669). Si tratta quindi di un diritto di natura sostanziale e non strumentale all’utilizzo.
I casi in cui conviene fare causa alla banca
Possiamo a questo punto rispondere all’interrogativo iniziale, ossia in quali casi conviene fare causa a una banca. Al riguardo, come agilmente compreso, è possibile fare causa alla banca ogni qualvolta vi sia una condotta illecita o illegittima, lesiva dei diritti e interessi del cliente, purché si abbia un’adeguata documentazione con la quale dimostrare quel nesso causale tra il danno subito e l’azione posta in essere.
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