Il debito netto degli Usa verso l’estero viaggia oltre il 60% del pil: è una proporzione da Paese povero, che ha bisogno dei capitali altrui per sopravvivere.
Il problema americano non è tanto il debito federale, che alla vigilia della Grande Crisi Finanziaria del 2008 era ancora al 63% del pil e che da allora è cresciuto in modo esponenziale, soprattutto in questi ultimi tre anni per via della crisi sanitaria e della spesa pubblica assistenziale e per investimenti che ha cercato di contrastare la flessione dei redditi e finanziare la ripresa, visto che nel secondo trimestre di quest’anno è arrivato al record storico di 34.831 miliardi di dollari, rispetto ad un pil nominale che dovrebbe arrivare 28.781 miliardi, superando il 121%: l’Italia ci convive da quarant’anni con questi livelli di debito.
Preoccupa di più l’andamento della spesa per interessi sul debito federale, che nel secondo trimestre di quest’anno è stata di 1.097 miliardi di dollari rispetto ai 515 miliardi dello stesso periodo del 2020: il raddoppio è dovuto non solo all’aumento del debito ma soprattutto a quello dei tassi di interesse decisi dalla Fed per contrastare l’inflazione, rispetto ai livelli infimi del 2020.
Altra questione più delicata riguarda l’andamento contrastato della sottoscrizione del debito federale da parte degli stranieri, incentivata dall’elevato tasso di rendimento che è stato garantito agli investitori. [...]
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