Ciò che conta, secondo la norma federale che regola la legge elettorale per la presidenza, non è il voto popolare su base nazionale.
A 40 giorni dal voto, è tempo per i “ragionieri” delle elezioni di tirare le somme. Ottobre potrà riservare, come spesso fa, qualche sorpresa, ma se si pensa che dal 20 settembre si sono già aperti in Virginia, in South Dakota e in Minnesota i seggi per chi vuol votare di persona in anticipo o chiedere le schede per votare per posta (e altri stati seguiranno a breve), i sondaggi attuali offrono il massimo di attendibilità che si può avere da questi sforzi. E Harris è in testa, secondo ‘RCP’ e ‘538’, due siti specializzati nelle proiezioni dei risultati.
Ciò che conta, secondo la norma federale che regola la legge elettorale per la presidenza, non è il voto popolare su base nazionale. I Democratici se ne lamentano quando, come è avvenuto nel 2016 con Hillary Clinton, il loro candidato prende più voti in assoluto nel Paese ma non conquista la Casa Bianca. Sbagliano. Infatti gli Stati Uniti d’America non esisterebbero come Paese senza l’applicazione del criterio federalistico che vige oggi.
I 50 Stati, diversi tra loro per popolazione, ricchezza e cultura, stanno insieme sotto l’ombrello di una Costituzione che regge da oltre due secoli. E ciò avviene grazie alla dignità politica paritaria che viene riconosciuta a tutti gli Stati: la California con i suoi 39 milioni di cittadini è rappresentata nel Senato di Washington da due senatori, come il Maine che ne conta 1,4 milioni. E due ognuno, per arrivare a 100, ne hanno pure i restanti 48 Stati.
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