Giorgia Meloni sul dossier caldo dell’energia ha chiesto una mano a Mario Draghi e l’oramai ex ministro Roberto Cingolani, diventato consulente di Palazzo Chigi: ecco cosa vuole fare.
Il dossier energetico è sicuramente il più urgente e caldo per Giorgia Meloni, neo-presidente del Consiglio. La leader di Fratelli d’Italia sa che si tratta del primo banco di prova per il suo governo, su cui subito verrà giudicata dall’opinione pubblica nazionale e dalle cancellerie occidentali.
Ci sono problemi urgenti da risolvere, come il costo delle bollette da abbassare e gli stoccaggi di gas da gestire per un inverno tranquillo. Ma anche questioni di medio-lungo periodo, come l’obiettivo da raggiungere dell’indipendenza energetica dell’Italia dalla Russia e potenzialmente da altri fornitori, assieme a una transizione ecologica da gestire senza traumi per l’economia e il mondo del lavoro.
La prima mossa nella nuova numero uno di Palazzo Chigi è stata chiedere una mano a Mario Draghi e l’ex ministro della transizione energetica Roberto Cingolani. Con l’ex presidente del Consiglio, prima della nota cerimonia della campanella per il passaggio di consegne, si è intrattenuta a lungo. Un dialogo che continuerà nei prossimi giorni. Cingolani invece è diventato consulente a titolo gratuito del governo e “accompagnerà” il lavoro del neo-ministro dell’Ambiente, il forzista Gilberto Pichetto Fratin.
Cosa farà Cingolani da consulente di Meloni
Il mandato di Cingolani, a titolo gratuito, è ufficialmente quello di “terminare il lavoro sul tetto al prezzo del gas negoziato a Bruxelles e sul rigassificatore” di Piombino, ma soprattutto “superare l’inverno vista l’emergenza in cui ci troviamo”.
La prima cosa da fare è quindi portare dal 94% al 100% le riserve di gas metano, obiettivo indispensabile per affrontare le possibili carenze di gas, in caso di stop totale alle forniture dalla Russia, nei prossimi mesi. I segnali che arrivano, però, fanno ben sperare: l’autunno per ora è caldo e le previsioni sull’inverno fanno pensare a temperature miti, mentre si è ridotta la domanda di metano.
Tutti fattori che rendono i prossimi mesi potenzialmente più tranquilli del previsto, anche se non bisogna escludere possibili shock improvvisi, come appunto lo stop al gas russo da un giorno a un altro o temperature più basse del previsto. Possibilità che porterebbero ad immediati razionamenti, ben più stringenti delle attuali limitazioni ai riscaldamenti previsti da Cingolani o le prime misure di risparmio messe in campo dai comuni.
Gli stoccaggi coprono infatti solo circa il 30% dei consumi e qualora venissero usati tutti lascerebbero scoperto il Paese da nuove possibili emergenze, ad esempio nell’autunno-inverno 2023. Uno scenario che il governo italiano non può permettere in nessuna circostanza.
Tetto al prezzo del gas, come si muoverà il governo Meloni
Poi c’è la partita europea. L’accordo del Consiglio europeo portato in dote da Draghi a Meloni è solo politico: va attuato nei fatti a partire dalle prossime riunioni dei ministri dell’Energia e poi dalla Commissione europea. Solo a quel punto si tornerà al Consiglio europeo per l’approvazione vera e propria. Il pacchetto prevede un tetto dinamico e temporaneo al prezzo del gas (per limitare le oscillazioni di prezzo causate dalla speculazione), la riforma dell’indice Ttf sul mercato di Amsterdam e l’obbligo di stoccaggi comuni nel Vecchio Continente per almeno il 15%.
La notizia dell’accordo sta facendo abbassare drasticamente il prezzo del gas ad Amsterdam: ora è sotto i 100 euro al megawattora come non accadeva da prima della guerra in Ucraina, ma se i veri e propri provvedimenti europei non risponderanno alle aspettative e a breve, il prezzo potrebbe impennarsi nuovamente. Non solo: a noi italiani, egoisticamente, conviene un tetto più stringente possibile e un meccanismo di condivisione degli stoccaggi meno vincolante. Per ottenere qualcosa che si avvicina a questo obiettivo, però, c’è ancora tanto da negoziare.
Altrettanto difficile è la questione del blocco al prezzo del gas per chi produce energia elettrica. In pratica le imprese che forniscono metano lo vendono “sottocosto” alle centrali elettriche e poi vengono
compensate con denaro pubblico. Per farlo serve capire quali fondi europei e nazionali si mettono in campo.
L’incognita del rigassificatore di Piombino
C’è quindi il capitolo rigassificatore di Piombino. Nella strategia messa in piedi da Cingolani è fondamentale per raggiungere la totale indipendenza dal gas russo, assieme all’altro rigassificatore di Ravenna, entro l’estate del 2024. Attivare in primavera l’impianto nel porto di Piombino, che può dare all’Italia il 7% del suo fabbisogno annuale di metano, servirebbe quindi affinché il Paese possa fare le scorte prima dell’inverno 2023-2024.
C’è però un’incognita politica: il sindaco della città, Francesco Ferrari, è di Fratelli d’Italia e continua a opporsi a un’opera temuta dalla cittadinanza per possibile inquinamento dell’aria e del mare. Meloni in campagna elettorale ha detto che valuterà e ricorrerà al rigassificatore in caso di emergenza. Ma le dichiarazioni di Cingolani, ora, fanno pensare a una possibile accelerazione per l’installazione.
Ci sarà probabilmente un confronto telefonico Meloni-Ferrari: avere il comune di Piombino dalla parte dell’esecutivo di certo metterebbe il governo più al riparo da ricorsi al Tar dei comitati cittadini.
La strategia del governo sulle rinnovabili
Anche con rigassificatore e stoccaggi, però, l’Italia deve puntare a essere il più indipendente possibile non solo dalla Russia, ma anche da altri Paesi potenzialmente instabili. Egitto, Libia, Algeria e Congo ad esempio, non sono di certo realtà con cui non si possono escludere difficoltà in futuro.
Negli ultimi mesi, con il governo Draghi, l’Italia è il paese europeo che ha siglato i maggiori accordi per sostituire le forniture russe: 13 miliardi di metri cubi di gas all’anno entro il 2023 (contro i 2,6 della Germania). Per aumentare l’indipendenza, però, Meloni punta su un mix di fonti, sia fossili che rinnovabili. A spiegarlo è il neo-ministro dello Sviluppo economico Adolfo Urso al Corriere della Sera.
Secondo Urso “occorre aumentare la produzione energetica nazionale, con tutte le tecnologie disponibili, a cominciare dalle rinnovabili, senza alcuna preclusione o tabù”. Il ministero, rinominato delle Imprese e del Made in Italy, potrà “intervenire in caso di inadempienze degli enti locali, ogni qual volta prevale l’interesse nazionale, con il pieno rispetto di tutti i vincoli ambientali, ma le autorizzazioni non possono restare inevase per anni”.
L’obiettivo ambizioso del governo Meloni è quello della “sovranità energetica”, ma prima europea e poi nazionale. Per Urso “si può spingere su diverse fonti: su fotovoltaico, solare ed eolico, ma anche geotermico. Possiamo migliorare nel campo idroelettrico, ammodernare gli impianti, intervenendo anche sulle concessioni per garantire investimenti adeguati”. Ancora non è chiaro se per farlo si punterà solo sul Pnrr o si metteranno a disposizione anche altri fondi nazionali.
Nuove trivelle e centrali nucleari?
Sul gas, poi, si punta a raddoppiare nel breve periodo la produzione nazionale, anche tramite “nuove trivellazioni nel mar Adriatico centrale”, che pure hanno un impatto ambientale. Quanto al nucleare, invece, nonostante il pressing di Lega e Forza Italia, Meloni e Fratelli d’Italia in campagna elettorale sono rimasti cauti: va bene l’incentivo alla ricerca e l’attenzione per la tecnologia di quarta generazione in via di sviluppo, ma con realismo. Per avere le nuove centrali ci vorrebbero almeno dieci anni: una prospettiva che al momento è distante dai problemi urgenti e rischia di arrivare fuori tempo massimo rispetto alla transizione ecologica.
Lo scorso febbraio il neo-ministro Pichetto Fratin diceva: “Io credo che noi dobbiamo impegnarci nel nuovo nucleare, almeno nella ricerca, in questo momento stiamo parlando di ricerca, di sperimentazione, poi, la valutazione sa sarà cosa buona o meno la vedremo a fine sperimentazione, il no a priori a parere mio non ha senso”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA