Gli arresti domiciliari fanno perdere il lavoro? Quando si rischia il licenziamento

Claudio Garau

26 Giugno 2023 - 13:48

Arresti domiciliari e conservazione del rapporto di lavoro sono compatibili? Ecco in quali casi il dipendente rischia il posto in azienda.

Gli arresti domiciliari fanno perdere il lavoro? Quando si rischia il licenziamento

Ogni datore di lavoro vorrebbe avere soltanto lavoratori irreprensibili, capaci e rapidi nell’eseguire le mansioni loro assegnate, ma non sempre è così. Poniamo il caso del dipendente che si trova coinvolto in una vicenda relativa alla commissione di un reato: l’azienda può licenziare chi è agli arresti domiciliari? La questione parrebbe facilmente risolversi con un sì - o almeno è questa la risposta che per logica saremmo portati a dare - ma ci sono da fare alcune precisazioni, dato che più volte la giurisprudenza ha affrontato l’argomento.

Vediamo allora assieme alcuni aspetti in proposito e facciamo chiarezza sui rischi di licenziamento per chi si trova agli arresti domiciliari. Sicuramente potranno essere d’aiuto al datore che si trovasse sfortunatamente nella situazione di avere un dipendente che non può allontanarsi da casa per provvedimento delle autorità. I dettagli.

Arresti domiciliari dipendente: quando sono disposti?

In estrema sintesi, qualora vi sia il pericolo che una persona accusata di un reato scappi, inquini le prove provando a complicare le indagini, oppure compia altri reati, il magistrato può valutarne di limitarne la libertà pur se con un processo ancora in ballo - e dunque prima della condanna.

Ciò ovviamente può valere anche per un lavoratore subordinato presso un’azienda: gli arresti domiciliari, in particolare, rappresentano quelle che la legge chiama ’misure cautelari’, le quali - come suggerisce la parola stessa - sono applicate anteriormente al riconoscimento di una eventuale responsabilità penale della persona sottoposta ad indagini.

Gli arresti domiciliari operano sempre prima di una (eventuale) condanna e dunque si differenziano dalla cosiddetta detenzione domiciliare, la quale scatta soltanto a seguito di una condanna definitiva.

Ovvio che chi si trova costretto nella propria abitazione per decisione giudiziaria, pur avendo un lavoro, potrà andare incontro a conseguenze anche sul piano lavorativo - come ora vedremo.

La giurisprudenza sul tema: lesione dell’immagine aziendale

Come è facile immaginare, più volte i giudici in passato sono stati chiamati a stabilire - in distinti casi pratici - se è da considerarsi legittimo il licenziamento del lavoratore subordinato che sia agli arresti domiciliari, e dunque nell’impossibilità di andare sul posto di lavoro.

Ebbene, non di rado la giurisprudenza si è soffermata proprio sulla questione della definizione dei margini del potere datoriale di licenziare il lavoratore condannato o anche solo indagato per un reato, pur compiuto fuori dall’orario di lavoro ma che potrebbe nuocere all’immagine aziendale e dunque al profitto - pensiamo ad es. alla multinazionale con interessi in tutto il mondo.

In questi casi, i giudici hanno affermato la possibilità di licenziare per motivi disciplinari ed anche per giusta causa, con conseguenze immediate per il lavoratore agli arresti domiciliari.

Ma attenzione, secondo un consolidato orientamento della Cassazione gli arresti domiciliari non sono in generale essi stessi alla base di un licenziamento per giusta causa. Questo perché gli arresti sono avvenuti per fatti estranei al rapporto di lavoro e non c’è stato un inadempimento del lavoratore agli obblighi del contratto di lavoro.

Se però il datore di lavoro prova in tribunale che il licenziamento deciso per gli arresti domiciliari è stata una conseguenza necessaria a compensare il problema a livello di produttività, dato dall’assenza del lavoratore e delle sue prestazioni in azienda - tanto da doverlo sostituire con un altro - il recesso sarà da considerarsi legittimo.

Licenziamento per assenza ingiustificata e arresti domiciliari

Sempre secondo i giudici è ammissibile il recesso datoriale, così si chiama il licenziamento in termini tecnici, anche da parte del datore di lavoro verso il dipendente che, posto agli arresti domiciliari:

  • non dia di sua spontanea volontà una spiegazione dell’assenza dal luogo di lavoro, se non dopo la contestazione dell’assenza;
  • non dimostri l’impossibilità di avere contatti con l’esterno o un giustificato impedimento.

Si tratta di situazioni in cui il datore applica il licenziamento (valido) per assenza ingiustificata.

Sentenza favorevole a chi subisce misure cautelari

C’è un caso specifico in cui il lavoratore agli arresti domiciliari è tutelato. La legge infatti stabilisce anche che chi è agli arresti domiciliari può comunque riprendere il suo posto di lavoro, pur con un anteriore licenziamento, qualora in un secondo tempo:

  • sia pronunciata una sentenza di assoluzione, di proscioglimento o non luogo a procedere;
  • oppure sia disposto un provvedimento di archiviazione.

In verità però non tutta la giurisprudenza si è allineata al 100%: infatti non mancano sentenze in cui - in materia di licenziamento disciplinare - non viene data importanza all’assoluzione dell’imputato, bensì alla capacità della condotta del lavoratore di danneggiare comunque il rapporto di fiducia con l’azienda - che come si sa è alla base di qualsiasi lavoro. E questo al di là che il dipendente abbia effettivamente commesso un reato.

Pertanto il giudice civile che deve esprimersi sulla legalità di un licenziamento disciplinare nei confronti un lavoratore subordinato a seguito di un fatto per cui si sia aperto un procedimento penale, potrà valutare liberamente gli atti e le prove emerse nel processo penale. Egli potrà farlo al di là di una eventuale sentenza di condanna e, dunque, ben potranno aversi gli estremi che integrano un illecito disciplinare comunque grave e tale da condurre al licenziamento.

Condanna penale e licenziamento sono strettamente collegati?

Alla luce di quanto abbiamo appena visto, la giurisprudenza ha mostrato più volte che non vi è alcun automatismo tra condanna penale e licenziamento del lavoratore subordinato. In buona sostanza non è la condanna, di per sé, a portare alla perdita dell’occupazione per il recesso del datore di lavoro.

Ciò che importa, lo ribadiamo, è che il fatto compiuto dal dipendente - da cui sono partite le indagini e per il quale sono stati dati gli arresti domiciliari - sia in grado di ledere irreparabilmente il legame di fiducia con l’azienda, se non addirittura l’immagine aziendale.

Il giudice del lavoro chiamato a valutare la validità del licenziamento dovrà così valutare la gravità della condotta del lavoratore sulla scorta di elementi quali - ad esempio - la natura del rapporto di lavoro e i compiti affidati. Sarà il singolo illecito contestato ad essere determinante ai fini di un possibile licenziamento: lo potrà essere ad es. un caso di molestie sessuali e potrà non esserlo, invece, un caso di oltraggio a pubblico ufficiale.

Il giudice dovrà valutare caso per caso la legittimità del licenziamento

Concludendo, al di là degli arresti domiciliari inflitti, il magistrato chiamato a valutare la legittimità del licenziamento dovrà verificare caso per caso se davvero il vincolo fiduciario sia stato alterato oppure no. In caso contrario il diritto del dipendente di mantenere l’occupazione sarà comunque mantenuto, pur senza percepire alcuna retribuzione per il periodo di assenza per arresti domiciliari.

Con la conseguenza che per fatti di scarso rilievo penale, il lavoratore potrà comunque conservare il posto di lavoro ed anzi essere eventualmente reintegrato sul posto di lavoro, con risarcimento danni pari alle mensilità di stipendio non versate per licenziamento.

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